Recensione: “La casa dell’incesto”, di Anaïs Nin
La magia della letteratura è anche quella che consente a un piccolo romanzo sconosciuto di venire alla luce, imprigionarsi tra le tue dita, costringere la punta di un pastello blu a consumarsi – mentre sottolinea citazioni incantevoli per evitare che si perdano tra la confusione dei paragrafi.
Così è successo a me con “La casa dell’incesto”, un breve romanzo della statunitense Anaïs Nin (all’anagrafe Angela Anaïs Juana Antolina Rosa Edelmira Nin y Culmell) che prende la propria ispirazione dalle letture che stavano influenzando l’esistenza della scrittrice negli anni precedenti alla stesura. Il surrealismo e il lirismo pervadono tutto il romanzo nel profondo, rendendolo una sorta di prosa poetica dalla quale è facile farsi rapire. L’autrice ci accompagna nel suo folle e fascinoso monologo delirante con grazia e competenza, legando parole, immagini e sensazioni con una maestria degna di nota.
Il titolo, a mio avviso, può leggermente fuorviare: in qualche passo viene sì trattato il tema dell’amore incestuoso, ma è ben altro l’intento dell’autrice. Il travolgimento dei sensi, la sfrenata sregolatezza delle passioni, l’incomprensibilità delle pulsioni sono al centro de “La casa dell’incesto”, anche se esse vengono presentate al lettore attraverso delle angolazioni tutt’altro che volgari. Le possibilità e le impossibilità sono ombre, luci violente, sapori sulla lingua, seta sotto i polpastrelli.
È difficile racchiudere all’interno di una recensione quello che il libro della Nin trasmette, poiché gran parte del suo lavoro letterario viene goduto per mezzo della fantasia del lettore, dell’immaginazione che viene stuzzicata tramite visioni e viaggi statici.
E qui l’invito a lasciarsi stregare dalla competenza letteraria di questa scrittrice, a farsi irretire dalle sue sillabe – mai banali, mai ridondanti.
Pubblicato il 4 ottobre 2016 su inkbooks