Chi mi conosce sa che che il periodo letterario che amo di più ruota a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento inglese, secoli fascinosi che hanno visto le penne di numerosi scrittori muoversi sulla carta per concretizzare romanzi immortali. Storie che ancora oggi leggiamo con passione, lasciandoci coinvolgere e trasportare in scenari suggestivi e tangibili, vivendo quei sentimenti che – troppo spesso – oggi diamo per scontato.

Pochi giorni fa è stato reso disponibile – per la prima volta in traduzione italiana – uno dei romanzi che pare abbia influenzato il gusto letterario e, successivamente, la scrittura di Jane Austen: sto parlando di “Cecilia”, romanzo della scrittrice inglese Frances (Fanny) Burney.
Autrice piuttosto prolifica di storie molto corpose, Fanny Burney diede alle stampe il suo secondo romanzo “Cecilia” nel 1782. Per la prima volta scelse di pubblicare utilizzato il suo nome e svelando, dunque, la propria identità al grande pubblico che aveva molto amato il suo precedente – anonimo – lavoro: “Evelina“, un lungo viaggio epistolare che riscosse enorme successo in patria.

Quello che generalmente caratterizza le eroine protagoniste dei romanzi di Fanny Burney è la loro entrata in società in un momento poco favorevole o ad un’età poco consona. Le trame delle vicende, ad ogni modo, conducono ad un lieto fine: le giovani donne, grazie alle loro virtù innate o acquisite durante un percorso di crescita, fanno sì che esse ricevano l’amore desiderato e la serenità inizialmente insperata.

Perché “Cecilia” è strettamente legato all’attività letteraria di Jane Austen? Non solo perché la cara zia Jane divorò, come fece con gli altri romanzi della Burney, anche questo volume, ma soprattutto perché esso influenzò notevolmente la giovane scrittrice che si stava adoperando alla ristesura del suo romanzo “First Impressions” a tal punto che decise di trasmutare il titolo in quello che tutti noi oggi conosciamo come “Pride and Prejudice” (ovvero “Orgoglio e pregiudizio”). Nelle battute finali di “Cecilia”, infatti, uno dei personaggi della Burney – il dottor Lyster – sottolinea la morale dell’intera vicenda ripetendo per ben tre volte due termini a noi molto noti – per l’appunto, “Orgoglio” e “Pregiudizio”:

Tutta questa faccenda […] è stata il risultato dell’orgoglio e del pregiudizio. […] Ciononostante, raramente questo: se all’orgoglio e al pregiudizio dovete le vostre disgrazie, il bene e il male sono così meravigliosamente bilanciati che all’orgoglio e al pregiudizio dovete anche la loro fine.” [Burney F., “Cecilia”, traduzione a cura di Giuseppe Ierolli]

Finalmente, dopo secoli di attesa, anche i lettori italiani hanno la possibilità di tuffarsi all’interno di questa storia grazie alla costanza e alla passione di Giuseppe Ierolli, studioso austeniano ben noto, che ha tradotto “Cecilia” e ne ha resa disponibile una versione digitale e una cartacea. Dov’è possibile trovarle? Basta visitare il suo sito web – www.jausten.it – e cercare nella sezione dedicata alle letture che Jane Austen e la sua famiglia amavano. Il mio consiglio spassionato è quello di dedicarsi alla visione di tutte le sezioni di questo sito, un prezioso bacino di informazioni, curiosità, traduzioni e chicche dedicate a zia Jane… un paradiso virtuale per ogni janeite che si rispetti.

A Giuseppe Ierolli vanno la mia personale stima e il mio sincero ringraziamento per il lavoro di traduzione svolto: un nuovo tassello della storia letteraria inglese è stato aggiunto. Sta a noi lettori, adesso, immergerci tra le pagine ed essere completamente invasi dalle atmosfere di un’epoca lontana dalla noncuranza, dove tazze colme di thé caldo, chiacchiere, sentimentalismi e morale la fanno da padrone.