L’aria profumava ancora di pioggia e resina di pino e proprio là, dietro le vette tinte d’amaranto, la coda di un arcobaleno si spegneva gettandosi tra le prime stelle della sera. Tra un passo e l’altro, l’anziana coppia evitava le piccole pozzanghere vergini nutrite dalle lacrime fresche che cadevano a ritmo costante dalle fronde degli alberi, da quei rami doloranti scossi dal furioso volere della natura.
Stavano portando a spasso il loro meticcio scuro, figlio di un incrocio che del lupo conservava nitide le forme. Dietro le loro ombre, le montagne che tanto amavano si specchiavano vanitose tra le acque quietate del piccolo lago artificiale il cui perimetro, come ogni sera, determinava la lunghezza della passeggiata, la direzione di quel passo a due che durava da più di quarant’anni.
Sotto quel cielo era germogliato il loro amore, protetto dal tempo sotto la resina ambrata e lucente, che conserva le forme addolcendo i sentieri impervi che si percorrono.
Nel rientrare tra le mura della loro casetta di legno, quella sera, i due si guardarono come non facevano da tanto tempo, come si fa dopo un litigio violento, quando i rancori tuonano tra le pareti per poi andarsene tra le nubi pesanti di rabbia. I loro volti accesi dal calore del tramonto si riconobbero l’un l’altro come l’unica, vicendevole ragione di pace in quell’oasi protetta dal muschio e dai ciclamini.