Ve l’avevo promessa e, finalmente, approda sul blog una nuova rubrica interamente dedicata alla scrittrice tra le scrittrici: Jane Austen. La scorsa settimana si è celebrato il bicentenario dalla scomparsa dell’autrice, avvenuta in quel di Winchester il 18 luglio 1817.

Ho pensato parecchio al modo in cui avrei potuto omaggiare personalmente il ricordo di questa scrittrice e ho subito compreso che ne esisteva uno. Nel novembre 2011 (sembra trascorsa un’eternità) mi laureavo in Lettere dopo uno splendido percorso triennale fatto di nuove scoperte, amicizie bellissime, condivisioni di passioni, aspettative e speranze, ansie da prestazione, esami complessi. Si concludeva un ciclo importante della mia vita: un percorso che ad oggi ricordo ancora come uno dei più luminosi della mia vita. Credo che gli anni universitari siano realmente stati i più belli di sempre!

Ebbene, perché Jane Austen? Jane è presente nella mia vita dal Liceo; è un amore che dura da almeno un decennio – e che non smetterà di vibrare. Ed è proprio a Jane che ho dedicato i miei ultimi mesi da laureando, proponendo, scrivendo e discutendo una Tesi incentrata sulla sua produzione minore ed incompiuta, all’epoca scarsamente conosciuta in Italia, posta a confronto con i “sei romanzi perfetti” (come li ha definiti, a ragione, la grande Virginia Woolf) che tutti noi conosciamo.

Il mio omaggio a Jane Austen nell’anno del bicentenario della sua morte sarà proprio questo: a puntate, di settimana in settimana, potrete leggere – uno alla volta – i capitoli e i sottocapitoli che sono andati a costituire la mia Tesi di Laurea triennale.

Il suo titolo? Becoming Jane: le opere minori e incompiute di Jane Austen come riflesso del suo mondo narrativo.

Prima di lasciarvi a questa prima parte (oggi potrete leggere l’introduzione all’intero lavoro di ricerca e analisi), vorrei esprimermi in merito alla citazione che ho posto all’inizio della Tesi, una frase de L’abbazia di Northanger che, a mio avviso, dovrebbe diventare manifesto di vita per chiunque: “Ciò che conta è l’abitudine di imparare ad amare”. Jane Austen ha vissuto per amare senza essere riamata a sua volta, se non dalla letteratura; Jane Austen ci ha insegnato che, in ogni caso, abituandosi ad amare, l’amore ci troverà.

Buona lettura!

Introduzione

Ciascuno di noi ha la sua Austen privata. […] È essenziale reintrodurre regolarmente la Austen nella nostra vita, diceva, e lasciare che si guardi attorno. Sospettammo che avesse un secondo fine, ma chi mai avrebbe potuto servirsi di Jane Austen per uno scopo malvagio?

Credo che Jane Austen sia un toccasana per la vita: ognuno di noi dovrebbe leggere i suoi romanzi almeno una volta nella propria esistenza. Nonostante le trame possano in un primo momento apparire più o meno simili tra loro – ma, attenzione, solamente ad un primo e spesso disattento sguardo – è impossibile non apprezzare appieno ogni personaggio, desiderare di trovarsi immersi nei vari paesaggi – quasi sempre al limite del bucolico – o trovarsi a vivere di prima persona gli intrecci che la grande autrice inglese ha saputo far nascere dalla sua penna. E il tutto diviene ancora più stupefacente al pensiero che i sei romanzi canonici austeniani sono stati concepiti da una donna che non aveva viaggiato poi molto, né aveva avuto esperienze di grande rilievo: ogni dialogo, ogni immagine, l’acuta ironia e lo splendore del risultato sono tutti frutto essenzialmente della mente della scrittrice; una donna che ha saputo far tesoro delle preziose letture e degli avvenimenti che attorno a lei andavano verificandosi – assorbendo quanto le interessava, lasciandosi forse influenzare quanto basta e scartando con decisione gli aspetti che non intendeva affatto inserire nel mondo dei suoi romanzi – e ha rielaborato con grazia e maestria a dir poco uniche.

Edward Morgan Forster, che apprezzò notevolmente la Austen, in uno dei suoi romanzi accenna all’incompiutezza nell’arte, con queste parole: “la tristezza dell’incompiuto – quella tristezza che spesso è Vita, ma che non dovrebbe mai essere Arte”. Purtroppo, ciò è accaduto per la signorina Austen. Il morbo di Addison – che è tutt’oggi la causa a cui si imputa il malessere della scrittrice e la sua successiva morte (all’epoca, la malattia non era nemmeno stata diagnosticata né riconosciuta) – ha impedito a Jane Austen di proseguire la propria carriera, che sembrava aver preso avvio dopo un paziente e lento inizio, dovuto a difficoltà editoriali e a problemi familiari susseguitisi nel tempo. La possibilità che la nuova traduzione di un romanzo epistolare giovanile e di due romanzi incompiuti della Austen ci dona di poter leggere ed analizzare anche altre tre opere della scrittrice inglese, mettendole a confronto con i sei capolavori che ben conosciamo, andava assolutamente sfruttata; come scrisse Virginia Woolf: “le opere secondarie di un grande scrittore sono sempre interessanti, perché ci offrono la migliore critica dei loro capolavori. Qui sono più visibili le sue difficoltà, qui è meno celato il metodo con cui abilmente le risolveva”.

Ed ecco il motivo di questo lavoro, un tentativo di analisi della crescita letteraria (ma solo letteraria?) di Jane Austen, che nel passaggio dalla fanciullezza alla giovinezza ci propone Lady Susan, in quello dalla giovinezza alla maturità – periodo piuttosto tragico per tutta la famiglia Austen – abbandona il promettente The Watsons e, infine, nell’ultimo squarcio di vita, proprio mentre la malattia avanza (e dalle pagine del suo lavoro, ella sembra quasi presagire l’avvicinarsi del momento dell’ultimo addio), Miss Austen non frena la sua vena creativa, concedendoci dunque di speculare sul bizzarro e particolare Sanditon. Il titolo della tesi – che letteralmente significa “diventando Jane” – è stato scelto con ispirazione all’omonimo film di Julian Jarrold del 2007 perché lo trovo perfettamente aderente al discorso che intendo affrontare all’interno di queste pagine: in questi tre lavori, praticamente inediti in Italia, ci appare una Jane Austen a tratti nuova; grazie a questi testi, è possibile analizzare come, attraverso alcuni passaggi fondamentali della sua vita, tutti i suoi scritti – compresi gli incompiuti – abbiano concorso alla formazione della donna, prima che della scrittrice, che tutti noi conosciamo ed ammiriamo. La signorina Austen, appena ventenne, che si diverte a narrare gli intrighi dell’opportunista Lady Susan, cambierà e rimarrà segnata dalle vicende che contraddistingueranno gli anni di composizione delle avventure della famiglia Watson e, crescendo, diventerà la donna forte e determinata che non abbandonerà la sua Sanditon di fantasia fino all’ultimo momento.

Nel primo capitolo si potrà osservare il tentativo di analisi a Lady Susan, articolato in dieci paragrafi: essendo, tra le tre, l’unica opera completa ovviamente il discorso risulterà leggermente più lungo. Gli aspetti che maggiormente sono stati presi in considerazione sono collegati col personaggio principale del romanzo epistolare, la protagonista Lady Susan Vernon: in questa figura è difatti possibile riconoscere, a tratti, delle caratteristiche e delle peculiarità che saranno successivamente ripresi o modificati da Jane Austen durante la sua carriera di scrittrice, nei romanzi canonici. Il secondo capitolo si articola in otto paragrafi che analizzano l’incompiuto romanzo I Watson: essendo uno scritto “di passaggio”, esso contiene al suo interno un numero di possibili correlazioni sia coi romanzi a lui precedenti sia con quelli che successivamente saranno concepiti dall’autrice; l’analisi di determinati passi darà la possibilità di scorgere questi contatti e di far emergere idee che non avendo trovato un favorevole esordio verranno poi rielaborate negli scritti della maturità. Il terzo ed ultimo capitolo si occupa, oltre che dell’analisi delle tematiche austeniane, anche del tentativo di scoprire come la maturità acquisita dall’autrice sia sfociata nell’incompiuto Sanditon, il romanzo che segue immediatamente Persuasione e che accompagna l’autrice verso l’ultimo addio.