Uno degli aspetti tipici della narrativa austeniana è senza ombra di dubbio la caratterizzazione dei personaggi. Jane Austen pennellava i protagonisti e i personaggi secondari dei suoi romanzi con abilità esemplare e, quasi sempre, per mezzo del dialogo. Rare sono le descrizioni spudoratamente fisiche; ella preferiva che il lettore immaginasse l’una o l’altra delle sue creature tramite lo stratagemma della conversazione, di cui era ella stessa grande estimatrice.

Jane Austen si comporta quasi sempre in maniera coerente con i suoi personaggi secondari: coloro che dal principio vengono descritti come sciocchi rimangono sciocchi fino al termine del romanzo (basti pensare a Mrs. Bennet di Orgoglio e pregiudizio o alla povera Miss Bates di Emma), chi viene identificato come virtuoso mantiene tale caratteristica per tutta la durata della trama (come non citare James Morland, fratello della protagonista de L’abbazia di Northanger). I personaggi principali, quasi sempre, se non trasformano la propria indole quantomeno la raffinano, comprendono quali siano i propri limiti e lottano per migliorare la propria condizione; se tale eventualità non è contemplata nel personaggio di Lady Susan, forse troppo meschina anche solo per pensare di modificare il proprio carattere, quasi miracolosamente si verifica per John Willoughby, tanto che si può arrivare a pensare che l’autrice giunga quasi a perdonare le sue malefatte – nonostante tutto il dolore che queste hanno generato nell’animo della sua eroina. Jane Austen affida ad Elinor il proposito di perdono del libertino:

Elinor non rispose. I suoi pensieri erano silenziosamente rivolti sul danno irreparabile che una indipendenza troppo prematura, con le sue conseguenti abitudini all’ozio, alla dissipazione e al lusso, avevano portato alla mente, al temperamento, alla felicità di un uomo che univa a tutti i benefici dell’avvenenza e dell’ingegno, a un carattere per natura aperto e onesto, una natura sensibile e affettuosa. Il mondo lo aveva reso prodigo e fatuo; la prodigalità e la vanità lo avevano reso egoista e spietato. La vanità, cercando il suo colpevole trionfo a spese degli altri, lo aveva spinto a un affetto sincero, che la troppa prodigalità, o almeno ciò che ne era conseguito come necessità, aveva condannato al sacrificio. Tutte le sue colpevoli inclinazioni si erano attirate la punizione. L’affetto da cui si era apparentemente strappato, a dispetto dell’onore, del sentimento, dei suoi più cari interessi, dominava, ora che non era più lecito, tutti i suoi pensieri; e il legame per cui, con tanto poco scrupolo, aveva abbandonato Marianne nella sofferenza, si dimostrava per lui una sorgente di infelicità di una natura molto più incurabile. Dopo qualche istante fu richiamata a se stessa da Willoughby che […] si era alzato per prendere congedo, dicendo: […] «E ora vi siete fatta un’idea migliore di me?», chiese, lasciando la sua mano e appoggiandosi al caminetto, quasi si fosse dimenticato di dover andare. Elinor lo assicurò di sì.

Lady Susan è un personaggio totalmente privo di scrupoli: ella non prova il minimo risentimento nel comportarsi indegnamente sia con coloro che conosce superficialmente sia con i suoi parenti più stretti (basti pensare al suo orrido comportamento nei confronti della figlia Frederica). Un cambiamento della propria indole alla conclusione del romanzo e il conseguente perdono dell’autrice non sarebbero stati coerenti; e ciò anche perché la volontà dell’autrice è quella di mettere in scena la totale sciaguratezza della donna, dotata di un carattere estremamente forte. Con Willoughby la questione si fa diversa: egli, fondamentalmente, è un personaggio con un carattere debole. La sua iniziale forza gli proviene esclusivamente dalla sicurezza del suo fascino esteriore e dalla naturalezza con cui riesce nell’impresa di conquistare Marianne. Il seguito della vicenda mostra invece come egli sia assolutamente privo di spina dorsale e incapace di coerenza. In questo frangente, il perdono che la Austen gli offre si tramuta quasi in un atto di compassione, di pietà verso un individuo incolore ed insignificante: l’autrice – e l’eroina del romanzo, di conseguenza – si dimostra così in tutta la propria superiorità. La vera colpa di Willoughby è quella di non aver imparato a tempo le regole della moderazione. Regole che Marianne, la giovane portata a cedere agli eccessi del sentimento, riuscirà invece, a sue spese, a imparare.

Perdonare la condotta di Lady Susan, una donna pressoché virilizzata (nel carattere), autonoma ed in grado di soddisfare ogni suo desiderio non avrebbe, al contrario, avuto alcun senso. Forse, da un punto di vista femminile, un’anti-eroina senza scrupoli come Lady Susan, che riesce a cavarsela in un mondo totalmente in mano agli uomini – sfruttando proprio l’ingenuità di questi ultimi – può apparire maggiormente positiva in confronto ad un uomo scevro di qualsiasi guizzo. Tale è anche il pensiero in merito della studiosa Dara Kotnik, la quale asserisce: “Jane avrebbe intenzionalmente creato un personaggio femminile inferiore agli altri. Lady Susan si degradava dunque nel risentimento. La Austen se ne rese conto e, finché visse, non volle che il libro fosse pubblicato. Si vergognò del coinvolgimento emotivo e comprese lo sbaglio di aver descritto un tipo di vita a lei noto soltanto per sentito dire. Uno dei suoi obiettivi, da allora, fu il rispetto della credibilità.