Con questa dodicesima puntata di #BecomingJane si chiude il ciclo di approfondimenti dedicati al primo dei tre scritti giovanili/incompiuti che questa rubrica si propone di affrontare. Dalla prossima settimana, infatti, abbandoneremo Lady Susan per immergerci nel primo dei due incompiuti, ovvero I Watson. L’articolo odierno, ad ogni modo, ci permette di citare anche uno dei romanzi austeniani che trovo più briosi: L’abbazia di Northanger.

Henry e Catherine si sposarono, le campane suonarono a festa e tutti furono felici; e, dato che non erano trascorsi dodici mesi dal primo incontro, non pare davvero che gli indugi imposti dalla crudeltà del generale avessero arrecato un gran pregiudizio. Essere completamente felici rispettivamente a ventisei e diciotto anni non è poi tanto male. Siamo anzi convinti che gli ostacoli, lungi dal nuocere alla loro felicità, le giovarono facendo sì che i due giovani si conoscessero meglio e si amassero di più. Lasciamo a coloro che possono trovare interessante questo genere di speculazioni la cura di determinare se questo libro esalti la tirannia paterna o la disobbedienza filiale“.

La conclusione de L’abbazia di Northanger, con ogni probabilità, ha ereditato aspetti provenienti da Lady Susan: in entrambi i romanzi troviamo rappresentate, difatti, la tirannia genitoriale e la disobbedienza filiale.

Se, nell’abile satira del gotico la Austen affida la disobbedienza filiale al personaggio di Henry Tilney e la tirannia genitoriale a suo padre, il Generale Tilney, in Lady Susan la prima è personificata da Frederica Susanna Vernon, mentre la seconda – ovviamente – dalla dura Lady Susan, la quale non perde l’occasione di sfogarsi con l’amica Alicia Johnson affibbiando alla figlia – in seguito alla sua fuga dal collegio – appellativi scarsamente materni:

Quell’orribile ragazzina, mia figlia, ha tentato di fuggire. Non avevo idea della sua natura luciferina: […] quando ha ricevuto la lettera in cui le chiarivo le mie intenzioni su Sir James, ha effettivamente cercato di scappare; […] ma la punirò e dovrà sposarlo“.

I tentativi della madre, come sappiamo, falliranno inesorabilmente. Una simile conclusione avranno anche le macchinazioni del Generale Tilney il quale, credendo la signorina Morland una giovane ereditiera e scoprendo successivamente che tale credenza non era altro se non il frutto di un equivoco, tenterà di impedire al proprio figlio di sposare la fanciulla di cui è innamorato. Ma se l’amore non trionfasse, non ci si troverebbe a leggere un romanzo di Jane Austen: Catherine ed Henry riusciranno ad essere felici, così come lo sarà la giovane Frederica, nel loro promettente matrimonio.

La Austen patteggiava per la “disobbedienza filiale”? Anche se fosse, ella considerava tale argomento una mera speculazione ed approfondirla avrebbe senza dubbio distratto il lettore dal messaggio centrale del romanzo, ossia che l’amore trionfa su qualsiasi altra – insignificante – questione.