Ho volutamente spostato l’uscita di questa puntata di #BecomingJane ad oggi (rispetto alla classica pubblicazione del mercoledì) perché il 9 novembre è per me un anniversario assai particolare: nel 2012, infatti, proprio oggi mi laureavo in Lettere Moderne. L’argomento della mia tesi di Laurea, come già accennato, era proprio la produzione incompiuta di Jane Austen. Quale celebrazione migliore della puntata che apre all’analisi di The Watsons?

I Watson, “con l’eroina che si chiama Emma e il padre malato, è stato alle volte interpretato come una specie di prototipo di Emma. Ma sarebbe più esatto dire che ha punti di somiglianza piuttosto evidenti con tutti i romanzi compiuti di Jane Austen: si tratta di un’opera così tipica che, se il manoscritto fosse semplicemente spuntato dal nulla, non ci sarebbero stati dubbi sull’autore”. Solamente sessantotto pagine manoscritte sono state completate da Jane Austen durante questa sua impresa letteraria degli anni di Bath. L’interruzione de I Watson porta con sé numerosi elementi su cui è possibile speculare: il romanzo comincia a prendere vita nel 1804, quando la famiglia Austen si trovava – per l’appunto – a Bath (luogo che la scrittrice, come è ben noto, non ha mai potuto sopportare) e mentre, di lì a poco, si stavano per susseguire una serie notevole di fatti spiacevoli; in primo luogo, la morte del reverendo Austen, padre di Jane.  Tra le pagine di quello che sarebbe potuto certamente essere un altro capolavoro della letteratura inglese si scorgono facilmente moltissimi elementi che verranno in seguito ripresi dalla scrittrice nelle sue opere del periodo di Chawton (i cosiddetti “Chawton novels”, ossia Mansfield Park, Emma e Persuasione); la posizione centrale de I Watson, infatti, e la sua condizione di opera incompiuta ed abbandonata gli permette di essere il “ponte di collegamento” tra i primi grandi romanzi austeniani e le opere della maturità letteraria della Austen.

James Edward Austen-Leigh non è d’accordo su questo aspetto: “Credo che sarà generalmente ammesso il fatto che contenga molto che promette bene, che alcuni dei personaggi sono caratterizzati con il suo consueto vigore, alcuni con il delicato discernimento che le è proprio, e che è ricco di quella sua qualità speciali di raccontare una storia e mettere in luce i personaggi attraverso la conversazione più che con la descrizione. Non sarebbe stato adatto a essere smembrato allo scopo di usarne il materiale in un altro lavoro, poiché, con l’eccezione di Mrs. Robert Watson, nella quale la somiglianza con la futura Mrs. Elton [personaggio di Emma] è molto evidente, non sarebbe facile rintracciare molte somiglianze tra questo e uno qualsiasi dei suoi lavori successivi”. (Questo frammento proviene da un’aggiunta alla seconda edizione del Memoir, avvenuta nel 1871, che riportava anche il testo di Lady Susan e il frammento I Watson. La traduzione italiana utilizzata è a cura di Giuseppe Ierolli ed è disponibile sul sito www.jausten.it) Personalmente non ritengo che James Edward Austen-Leigh abbia ragione. Seppure gli elementi siano notevolmente inferiori (data l’evidente limitatezza dell’opera), trovo che vi siano sufficienti aspetti da analizzare che possano ricollegarsi coerentemente sia ai romanzi precedenti che, soprattutto, a quelli successivi.

La studiosa Dara Kotnik commenta in questo modo la posizione del nipote della scrittrice: “L’interruzione di The Watson venne goffamente commentata e fraintesa dal nipote [James] Edward Austen-Leigh: «L’Autrice», egli presunse di spiegare, «comprese il rischio di aver posto la protagonista troppo in basso, in una situazione di povertà e meschinità che, pur non necessariamente legata alla volgarità, tendeva a scivolarvi: perciò, come una cantante che avesse iniziato con una nota sbagliata, interruppe la melodia». È un’interpretazione azzardata, indegna di Jane, assolutamente ingiusta e denigratoria. L’anno in cui lei rinunciò al romanzo, il 1805, coincise con eventi che lecitamente le tolsero la voglia di proseguire. Non si trattò di alterigia sociale, ma di crisi personale e di stanchezza. Aveva bisogni di disciplina, di silenzio, di solitudine, e invece si scontrava ogni giorno con mille problemi pratici”.