Melmoth l’errante, romanzo di Charles Robert Maturin, è una delle letture che mi ha tenuto maggiormente compagnia durante quest’anno. Trattasi di un lungo romanzo gotico inglese, pubblicato per la prima volta – in quattro volumi – nel 1820. La lettura di questo tomo è stata realmente interessante, ricca di spunti e generatrice di riflessioni; ragion per cui, ho deciso di scriverne una recensione corposa, con l’intento di evidenziare tematiche e intenzioni di quest’opera che – certamente – andrebbe conosciuta di più.

La trama di Melmoth l’errante si costruisce di fronte al lettore per mezzo di una serie costante di “scatole cinesi”, di racconti presentati da personaggi differenti che narrano le vicende di altri, permettendo – al termine della lettura – di costruire un quadro, più o meno completo, dell’intero plot narrativo. Questo tipo di costruzione affonda le sue radici nell’oralità e otterrà il successo maggiore per mezzo dei feuilleton – ma verrà utilizzato anche successivamente, basti pensare a I tre impostori di Arthur Machen, apparso nel 1895, che possiede l’identica struttura del romanzo di Maturin – e consentiva all’autore di fondare la trama della sua storia su tutta una serie di intrecci temporali e di personaggi. Il risultato, nei casi più felici (e questo vale, ad esempio, per l’opera di Maturin), è assai delizioso.

Melmoth l’errante vuole raccontarci le vicissitudini di questo uomo misterioso che, avendo stretto un patto col Diavolo, ottiene l’immortalità e – al contempo – la maledizione di dover vagare di luogo in luogo, di epoca in epoca, alla ricerca di anime a cui trasmettere la sua stessa condanna. Melmoth compare relativamente tra le numerose pagine di questo romanzo gotico. In tal senso, questa figura mi ha ricordato quella di Dracula, dell’omonimo romanzo di Bram Stoker. Anche nel caso della storia del “Principe della Notte”, il vampiro appariva come mera presenza, come riflesso del terrore che la sua ombra gettava sugli altri personaggi del romanzo; soltanto nelle pagine finali, infatti, il vero Dracula compare sulla scena, pronunciando le sue prime parole. Allo stesso modo, l’Uomo Errante di questa storia sembra possedere la materialità di un’evanescenza, sebbene attorno al suo nome e alla sua leggenda ruotino tutto il timore e l’orrore tipici di un romanzo di questa natura.

Scrivere una recensione classica di questo romanzo sarebbe stato estremamente riduttivo; questo perché la lettura di Melmoth l’errante ha toccato tutta un serie di aspetti e di tematiche che hanno reso il viaggio nel tempo e tra i continenti insieme alla creatura di Maturin più che interessante. Al di là della mera scrittura (eccelsa, profonda e carica di immagini davvero notevolissime), questo romanzo va a sfiorare temi che, sebbene lo si legga a due secoli di distanza, risultano ancora più che attuali. Le riflessioni dell’autore, il suo uso minuzioso delle metafore, la scelta lessicale, i colori con cui Charles Robert Maturin ha sfumato ogni sua pagina – inoltre – impreziosiscono ogni riga. Non perdendo altro tempo, vado quindi a presentare quelle che – a mio avviso – sono le tematiche di maggior rilevanza inserite all’interno di questo romanzo.

1) IL RITORNO

In Melmoth l’errante il ritorno inteso sia come “tornare in un luogo, in una situazione già vissuta” sia come “ritorno ciclico di una serie di elementi all’interno del romanzo stesso” è certamente un elemento cruciale. Melmoth, l’Uomo Errante, ritorna nel tempo, nelle storie e nelle vite di altri personaggi, i quali intrecciano le loro esistenze alla sua in maniera più o meno consenziente. Allo stesso modo, nel romanzo si possono riconoscere tutta una serie di elementi, di tematiche e di situazioni che tornano anch’essi con la medesima ciclicità, andando a interessare anche personaggi tra loro distanti nel tempo e nello spazio. La stessa descrizione che viene data di Melmoth l’errante poco prima del racconto della famiglia Guzman dà un’idea della portata che il tema del Ritorno ha in quest’opera: “L’eccezionale lunghezza della vita che gli è stata assegnata, la facilità con cui lo si è visto passare da un paese all’altro (dove conosce tutti, ma nessuno lo conosce) sono state le cause principali delle sue avventure così numerose e al tempo stesso così simili“.

2) IL TEMPO

Strettamente connessa alla tematica precedente è, senza dubbio alcuno, quella del tempo, un elemento che sembra quasi ossessionare lo scrittore (oltre che Melmoth stesso, s’intende). Il tempo viene scandito nel romanzo sia per mezzo dello scorrere degli eventi sia dalle varie apparizioni dell’Uomo Errante nel corso della Storia. Il tempo, allo stesso modo, viene dilatato all’interno del romanzo per mezzo delle “storie nelle storie” che allungano le dinamiche narrative. Nel racconto più corposo contenuto all’interno di Melmoth l’errante – ovvero, quello del monaco – il protagonista parla spesso del tempo rubato, di quel tempo che non potrà più tornare e che è stata sottratto per sempre alla sua esistenza. Nel racconto degli indiani, invece, iniziale centralità la possiede il tempo della Natura (“L’eterno trionfo della Natura sulle rovine dell’arte“).

3) LA RELIGIONE

L’elemento religioso ha un ruolo fondamentale soprattutto nella prima metà del romanzo (nella seconda metà, infatti, pur comparendo qua e là, ha un ruolo più marginale). Il protagonista, John Melmoth – il nipote del “vecchio” Melmoth – ascolta, infatti, il racconto del monaco. Questa storia ci appare (nemmeno troppo velatamente) come una pesante critica al cattolicesimo, nonché all’evidente difficoltà di convivenza tra religioni differenti. Le torture – fisiche e psicologiche – che il monaco è costretto a subire a seguito del suo desiderio di libertà da una condizione imposta gettano ombre pesanti su tutto il sistema religioso dell’epoca, descritto come bigotto e violento. L’intolleranza religiosa presentata da Maturin arriva a toccare (e a seppellire?) anche i temi dell’omosessualità, del diverso, dello straniero.

4) GLI SPAZI

Gran parte degli spazi descritti da Maturin in Melmoth l’errante possiedono, a mio avviso, una caratteristica che li accomuna: nella loro vastità incontenibile rappresentano per coloro che li abitano una trappola strettissima. In tal senso, sia il monastero sia la stessa città di Madrid sono edificio e spazio grandissimo e, allo stesso tempo, sono una trappola che rimpicciolisce le dimensioni e limita la libertà.

5) IL VIAGGIO e L’ESOTICO

Nel racconto degli indiani il lettore viene catapultato in un universo diametralmente opposto a quello cittadino madrileno a cui si era abituato nella prima parte del romanzo. Le descrizioni di questa sorta di Eden si fanno estremamente virtuose e Maturin sembra tornare a respirare in seguito a una prigionia forzata. In questo senso, l’esoticol’altro da sé – assume il senso di redenzione, intesa come andare al di là rispetto al proprio, consueto modo di agire e di pensare; l’Uomo Errante farà esattamente questo quando si infatuerà di Immalì. Immalì è la straniera – è la Esmeralda di questo romanzo – e incarna la Natura, il viaggio verso la Natura, verso la riscoperta dell’io selvaggio ancora capace di assorbire energia dalla Terra e commuoversi per lo sbocciare di una rosa. Immalì/Doña Isadora è il fiore, il femminile per eccellenza, strappato alla sua Natura esotica dal maschile violento.

6) LA TENTAZIONE

In un romanzo in cui il protagonista è l’uomo che è sceso a patti col Diavolo, il tema della tentazione non poteva mancare. In Melmoth l’errante la tentazione è sia quella proposta (dall’Uomo Errante nei confronti di tutte le sue potenziali vittime) sia quella subita (in primis da Melmoth), come accade a Immalì/Doña Isadora che, a un passo dall’altare, dopo aver inconsciamente attraversato la soglia sulle rovine buie, si rende conto – troppo tardi – delle mani gelide del suo futuro sposo.

7) LA FESTA IN MASCHERA

Proprio come accadeva ne La maschera della Morte Rossa di Edgar Allan Poe, anche in Melmoth l’errante il Male sceglie di comparire in pubblico celato dalla protezione di una maschera, durante una festa danzante, accolto dallo scoccare dei rintocchi della Mezzanotte, gettando scompiglio e creando panico.

La conclusione di Melmoth l’errante porta con sé l’ultima ciclicità, la chiusura del cerchio con l’apparizione di Melmoth. Il lettore termina così il proprio viaggio, con la certezza di aver seguito l’Uomo Errante in tutte le sue peripezie terrene. Ebbene, considerato quanto viene dichiarato da uno dei narratori (“Ci sono altri racconti su questo essere misterioso che sono riuscito a raccogliere con estrema difficoltà perché gli sventurati esposti alle sue tentazioni considerano la loro sfortuna un crimine e così nascondono con la massima segretezza ogni particolare delle sue terribili visite“), non stupisce che Honoré de Balzac abbia deciso di scrivere un seguito dell’opera di Maturin: Melmoth riconciliato.