Dal primo istante in cui comincerò ad amare, conserverò sempre per tutto il corso della mia vita questo primo sentimento nel cuore.

Il romanzo gotico, nel tardo Settecento, aprì la strada a un nuovo genere letterario, a una nuova visione della letteratura d’intrattenimento. Si può arrivare ad azzardare – per alcuni aspetti – che tutto ciò che, oggigiorno, consideriamo horror e fantasy ponga le sue primissime radici in una corrente artistico-letteraria che vide tra i suoi autori pionieri una scrittrice inglese che, sebbene fosse solita colmare le sue storie avventurose di rocambolesche peripezie, minuziose descrizioni ambientali e ombrosi intrighi, non ebbe la possibilità di visitare in prima persona nessuno dei luoghi nei quali scelse di ambientare le proprie narrazioni.

Sto ovviamente facendo riferimento alla grande Ann Radcliffe, vera e propria madre del romanzo gotico inglese. Di lei e della sua figura si disse che «non appariva mai in pubblico, né si mescolava nella società, ma si teneva defilata, come il soave usignolo che canta le sue note solitarie, celato e non visto». E, forse, era proprio così che Mrs. Radcliffe desiderava mettersi alla prova con la propria fantasia e la propria penna “nera”. Sue sono – a mio avviso – le più importanti e, non da ultimo, le più belle narrazioni gotiche.

Il romanzo che vorrei consigliarvi oggi è l’ultimo che l’editoria italiana ha consegnato a noi lettori. In verità, Romanzo Siciliano venne proposto al grande pubblico della nostra penisola nel 1991, dalla casa editrice Sellerio. Andato – ahimé – fuori catalogo per decenni, finalmente questa storia ha visto una sua splendente rinascita lo scorso anno, grazie alla Beat Edizioni, a cui va il mio personalissimo plauso.

La seconda fatica letteraria della madre del romanzo gotico è stata proprio A Sicilian RomanceRomanzo siciliano, per l’appunto. All’interno di questo piccolo gioiellino si narrano le vicende di Giulia, figlia di un ricco marchese, la quale dovrà affrontare non solo lunghi e perigliosi vagabondaggi nel Sud Italia, ma sarà costretta a opporsi a un padre tiranno, a un potenziale sposo del quale non possiede la minima stima, a religiosi dalla dubbia morale e – sopra ogni altra cosa – a un crudele segreto di famiglia che viene celato da oltre un decennio nell’ala meridionale del palazzo di Mazzini.

Tra le pagine non mancano, com’è d’uopo che sia, tutti gli elementi tipici della letteratura “nera” del periodo, come lunghi sotterranei e corridoi piranesiani, misteri irrisolti, voci sussurrate e intrighi sepolti alla luce della Luna, i quali – come da copione – si ridurranno (ma, badate bene, solo al termine della narrazione!) a meri fraintendimenti, errori di valutazione, fenomeni che di soprannaturale hanno ben poco.

Nulla di nuovo, in verità, se si è abituati a leggere i romanzi più noti di Ann Radcliffe.

In tal senso, infatti, I misteri di Udolpho o L’italiano, ovvero il confessionale dei penitenti neri, titoli di più facile reperibilità, rappresentano dei veri e propri capisaldi non solo della narrativa di Ann Radcliffe, ma soprattutto del genere gotico e di tutto il fascino di cui è intriso. Tuffarsi in una delle storie della Radcliffe ha sempre qualcosa di estremamente confortante: la consapevolezza che, nonostante tutto il male e il nero, il bene riuscirà sempre a trionfare sul male.

Il mio personale augurio è che col passare del tempo le opere letterarie di Ann Radcliffe riescano a ritrovare un sentiero di (ri)scoperta anche nella nostra penisola. Fenomeni di tale sorta non sono nuovi, in Italia (basti pensare a quanto accaduto ai romanzi e ai racconti di Elizabeth Gaskell, da qualche anno riapparsi in molteplici edizioni in tutte le librerie della nostra penisola). Ci sono tante altre storie di Ann Radcliffe che andrebbero tradotte e apprezzate – una su tutte, Il romanzo della foresta – e spero davvero che, prima o poi, qualcuno del settore si decida ad appassionarsi alla bellezza di queste trame senza tempo così come della cupa brillantezza delle vicende che sono contenute al loro interno.