Faccio una premessa.
Non mi permetterò di fare una recensione a “Dieci Piccoli Indiani”; non potrei mai farlo.
Quello che posso fare, tuttavia, è darvi una serie di ragioni per cui dovete necessariamente leggere questo romanzo (e, nel caso in cui ancora non lo possediate nelle vostre librerie, dobbiate fiondarvi ad acquistarlo al termine della lettura di questo articolo!).

La prima cosa a cui ho pensato, una volta chiuso il libro e conclusa la lettura è stata: come ho fatto ad arrivare alla veneranda età di ventotto anni senza aver mai letto “Dieci Piccoli Indiani”? Perciò, se state leggendo e avete più di ventotto anni… correte immediatamente ai ripari! Se, al contrario, siete più giovani (beati voi!), non lasciate che l’età vi scorra sulla pelle senza che il brivido di questa lettura abbia impreziosito le vostre cellule.

Non starò a raccontare la trama di questo capolavoro. Vi rovinerei ogni sorpresa. Posso solo anticipare – dopotutto, si tratta solamente del primo capitolo – l’antefatto che dà origine a tutta la vicenda costruita in maniera perfetta da Agatha Christie. Alcuni perfetti sconosciuti (indovinate un po’… esatto, sono proprio dieci!), dopo aver ricevuto una lettera – qualcuna più, qualcuna meno bizzarra – si ritrovano catapultati su un’isola deserta. Ciascuno ignorava, fino a quel momento, l’esistenza degli altri e le ragioni che li hanno spinti a soggiornare su Nigger Island sembrano così incredibilmente diversa tra loro.

Ciascun lettore troverà il proprio alter ego tra questi dieci personaggi: c’è chi si identificherà nell’arguto Dottor Armstrong, chi nella cinica signorina Emily Brent, chi nel servile signor Rogers, chi – ancora – nella giovane signorina Vera Claythorne.

Insomma, ogni lettore potrà riconoscere parte della propria indole in uno dei dieci protagonisti e, di conseguenza, potrà affezionarsi a lui, tifando affinché la sua permanenza sull’isola possa durare il più possibile. In tal senso, questo meccanismo è stato ripreso spessissimo anche in opere artistiche successive, persino nella contemporaneità. Sembrerà azzardato, ma mentre leggevo il romanzo ci sono stati tantissimi elementi che mi hanno ricordato la meravigliosa serie televisiva Lost, nella cui situazione iniziale riecheggia l’incipit del romanzo della Christie. Possiamo supporre che J. J. Abrams si sia ispirato a “Dieci Piccoli Indiani”? Onestamente non lo escluderei.

Oltre a questi aspetti che definirei tranquillamente psicologici-sociali, vi è indubbiamente la scrittura di Agatha Christie e l’affascinante – e perfetto! – incastro narrativo che l’autrice riesce a mettere in atto nel corso dello svolgimento di questa storia. Non si tratta di una classica detective story né di una cosiddetta spy story, quanto più di un thriller psicologico (un altro richiamo cinematografico al quale non ho potuto fare a meno di pensare è stato Nelle mente del serial killer, film costruito sulla falsa riga di “Dieci Piccoli Indiani” – e che, naturalmente, consiglio a tutti – che fonda la propria forza sui medesimi meccanismi posti in atto dalla Christie anni, anni prima). Questa tensione narrativa costante non solo risulta vincente, ma incolla letteralmente chi si immerge nel romanzo alle righe dell’autrice, col vivo, costante, avido desiderio di venire a capo di una vicenda misteriosa ed eccitante.

Mi ripeto, non intendo scrivere una recensione. Farlo significherebbe svelarvi il senso di tutto il romanzo e non intendo prendermi la responsabilità di rovinare la meraviglia che io stesso sono riuscito a provare grazie a questo testo perfetto. Sì, perfetto. Perché nella sua linearità, logicità, semplicità, “Dieci Piccoli Indiani” porta con sé una costruzione eccezionale e una meccanica che risulta infallibile – una volta giunti all’ultimo punto. Prima di quel momento, infatti, tutto l’impianto narrativo ci è ignoto e l’unico elemento su cui possiamo fare affidamento, l’unico portatore di indizi è il quadro con la filastrocca dei Dieci Poveri Negretti. Non la conoscete? Ebbene, mi congederò lasciandovene il testo. Vi raccomando, dopo averla letta, assicuratevi di aver chiuso le porte della vostra stanza con un doppio giro di chiave e, se volete seguire il consiglio di chi sa come la storia va a finire, mettete una pesante sedia a guardia della maniglia, in modo che resti immobile fino al sorgere dell’alba. Sempre che siate ancora vivi per poterla osservare…

Dieci poveri negretti
se ne andarono a mangiar:
uno fece indigestione,
solo nove ne restar.

Nove poveri negretti
fino a notte alta vegliar:
uno cadde addormentato,
otto soli ne restar.

Otto poveri negretti
se ne vanno a passeggiar:
uno, ahimè, è rimasto indietro,
solo sette ne restar.

Sette poveri negretti
legna andarono a spaccar:
un di lor s’infranse a mezzo,
e sei soli ne restar.

I sei poveri negretti
giocan con un alvear:
da una vespa uno fu punto,
solo cinque ne restar.

Cinque poveri negretti
un giudizio han da sbrigar:
un lo ferma il tribunale,
quattro soli ne restar.

Quattro poveri negretti
salpan verso l’alto mar:
uno un granchio se lo prende,
e tre soli ne restar.

I tre poveri negretti
allo zoo vollero andar:
uno l’orso ne abbrancò,
e due soli ne restar.

I due poveri negretti
stanno al sole per un po’:
un si fuse come cera
e uno solo ne restò.

Solo, il povero negretto
in un bosco se ne andò:
ad un pino si impiccò,
e nessuno ne restò.