Dal 1999, ogni 20 novembre si celebra il TDoR, ovvero il Transgender Day of Remembrance – in memoria di Rita Hester, donna transessuale uccisa a coltellate nel proprio appartamento di Boston perché, secondo il suo omicida, meritava di morire per il solo fatto di essere se stessa. In questa giornata, la commemorazione simbolica dell’addio al mondo di questa musicista, di questa donna solare – come viene sempre ricordata – si colma di un valore che amplia la sua voce, cercando di raggiungere anche le menti, le coscienze e le anime di chi, forse inconsapevole, è andato avanti, di chi non conosceva la storia di questa vittima, di chi non fa caso a quanto questa tematica sia attualissima oggi stesso.

Nel corso degli ultimi anni, anche in Italia tantissimi eventi e commemorazioni sono sorti, nella giornata del 20 novembre, con la volontà di stringersi e condividere; perché il TDoR non deve essere una celebrazione ad appannaggio esclusivo della comunità LGBT. Oggigiorno, il TDoR deve diventare un’evidenza per tutta l’umanità: l’evidenza di una violenza che non dovrebbe più esistere, di una becera follia insensata, di un odio senza giustificazione alcuna.

Anche Bergamo, la mia città, quest’oggi celebra il TDoR, con una serata di confronto, un microfono aperto organizzato dal comitato del BergamoPride. Ho avuto anch’io l’opportunità – seppure telematica e ritirata – di portare un piccolo omaggio in questa ricorrenza. Come potevo farlo? Ovviamente per mezzo della lettura di un romanzo.

Il romanzo in questione è George di Alex Gino, pubblicato nel 2015 e portato nelle librerie italiane da Mondadori – nella collana dedicata agli scritti contemporanei. Sostanzialmente, queste pagine portano all’attenzione del lettore i tumulti interiori di George, una giovane transgender che impara a comprendere, accettare e comunicare al mondo quale sia la sua reale natura. Nata in un corpo maschile, George affronta la prima manciata di anni della sua vita con la crescente consapevolezza di sé, della sua concretezza, del percorso che – così spera – la porterà, un giorno, a essere finalmente felice, finalmente se stessa.

Il lettore viene immediatamente catapultato nella mente della protagonista: sebbene tutti si rivolgano a lei con pronomi, aggettivi, appellativi, … declinati al maschile, sia la voce narrante sia quella della stessa eroina presentano George come una bambina.

George sapeva che la mamma voleva solo aiutarla. Ma quello di George non era un problema normale. Non aveva paura dei serpenti. Non si era presa un’insufficienza in matematica. George era una femmina, e nessuno lo sapeva.

È questa la sensazione che abita la nostra protagonista: una costante contraddizione tra ciò che i suoi occhi (e gli occhi del mondo) vedono e quello che la sua interiorità realmente vorrebbe manifestare. In questa incredibile difficoltà, ecco che l’autore fa intervenire il teatro, il luogo nel quale gli attori, indossando delle maschere, portando in scena dei ruoli che non appartengono al loro quotidiano, possono – al contempo – nascondersi e liberarsi. È proprio sul palcoscenico che George sente di poter manifestare la propria indole:  George avrebbe voluto essere il rosa, così tutti avrebbero capito che era una femmina. Sarà proprio con una parte femminile (quella della protagonista, il ragno Carlotta) che George si presenterà alle audizioni, venendo immediatamente scartato dalla rigidità della sua insegnante.

Ma sarà proprio per mezzo di questo primo, pesante rifiuto che George – grazie, soprattutto, alla complicità con l’amica Kelly – riuscirà a mettere in atto una vera e propria rivendicazione orgogliosa e potente, aprendosi dapprima – e non senza difficoltà o timori – con le persone a lui più care (la sua migliore amica, suo fratello maggiore, sua madre): Sentirsi dare della femmina da Kelly le fece uno strano effetto, ma strano bello, come un formicolio nella pancia che sembrava dire: “George, tu esisti!”. […] Avevo capito che mamma era preoccupata, poi ho visto la borsa sul suo letto. La prima cosa che ho pensato è che dentro c’erano dei giornali porno o roba simile. Così l’ho aperta. Sai, per vedere che roba piaceva al mio fratellino. E così ho capito che eri gay. Ma a quella cosa non avevo pensato… perciò vorresti andare fino in fondo? […] Tu sei un osso duro. Ma il mondo non sempre è gentile con chi è diverso. Io voglio solo che tu non ti renda la vita più difficile del dovuto.

Consapevole delle salite che dovrà necessariamente affrontare – un passo alla volta, come gli altri personaggi suggeriscono a George – ecco che la nostra eroina si ricongiunge, poco prima di un’appassionante gita allo zoo in compagnia dell’amica Kelly e del suo ignaro zio, alla sua vera identità, alla bambina che, sin dal giorno dell sua nascita, aveva vissuto dentro quel corpo che non le apparteneva: ecco che George incontra, chiamandola per la prima, vera volta, Melissa.

«Nemmeno sapevo che avessi delle gonne», disse George [a Kelly].
«A scuola non le metto. I maschi sono dei porcelli, cercano sempre di alzartela».
«Io non cercherei mai di alzarti la gonna».
«Ovvio. Tu mica sei un maschio».

Ed è proprio nella semplicità di questa fanciullesca condivisione che risiede il messaggio principale di questo romanzo: l’importanza della propria libertà, che è il bene più prezioso – specialmente quando si tratta di una libertà che fa bene a se stessi senza fare del male agli altri. Una libertà che consente di respirare a pieni polmoni, di vivere appieno una vita degna di essere definita tale, una vita nella quale la tavolozza dei colori possa davvero essere sempre colma e variegata, pulsante e in divenire – fino alla realizzazione della propria tela, di un autoritratto che rappresenta senza compromessi l’immagine che vogliamo far combaciare con la nostra anima, con la nostra Natura.

È superfluo parlare – oggi – di tematiche come queste? Non vi è una comunicazione satura? Il target d’età (se davvero ne esiste uno) al quale questo romanzo si rivolge non è troppo giovane?

Rispondo a queste tre domande con un no convinto e con le ultime parole della postfazione di Matteo ColomboGeorge, con le quali mi sento di concludere questa recensione un po’ particolare: Oltre alle parole, però, c’è un’altra cosa che dà forma alla realtà, ed è il modo in cui decidiamo di viverla. Questo libro racconta i primi passi di una bambina segreta disposta a vincere ogni paura pur di creare un mondo che le somigli, in cui sentirsi a suo agio e non doversi nascondere, e dove a decidere con che pronome o quali aggettivi farsi chiamare sia lei e nessun altro. È l’augurio che faccio a tutti i lettori di George quello di costruire un mondo che vi somigli, e di trovare le parole per farlo. Perché con questi Lego in bianco e nero [le parole] si possono fabbricare un sacco di cose, ma una delle più incredibili è la libertà. Anche se dagli amici, mi dicono, preferisce farsi chiamare libertà.