Uomini di poca fede, romanzo dell’autore americano Nickolas Butler è stata la lettura che ha accompagnato i #RagazziTraLePagine durante il mese di febbraio 2020. Uscita editoriale in casa Marsilio, questo volume ha come obiettivo primario il porre l’accento su questioni di natura religiosa e sociale nell’America contemporanea. Nickolas Butler tinteggia una ruralità statunitense con pennellate materiche stese su una tela di terra, piccole tradizioni e qualche accenno di retorica – Perché naturalmente sono stati gli adulti a introdurre il pericolo nel mondo, sempre gli adulti – proponendo al lettore la tragica vicenda di una famiglia alla deriva.

Genitori acquisiti di una giovane madre nubile, Lyle e Peg proseguono il reciproco cammino verso l’età ultima della vita in assoluta autonomia, divisi tra l’amore per il nipotino Isaac, i loro meleti, gli amici di un tempo che, pian piano, si vedono costretti a salutare il mondo, dando corda all’ultimo addio.

In questa cornice si introduce il tema scottante, la raison d’être di Uomini di poca fede, ovvero la religione, nella sua concezione più torbida, ossia quella incarnata dal fenomeno delle sette religiose. Vittima di questo fanatismo ebbro sarà proprio Shiloh, la figlia dei due anziani protagonisti, la quale subirà senza troppa fatica il fascino del nuovo pastore insediatosi nella comunità – Steven – arrivando a perdere ogni forma di lucidità e personalità in cambio di qualche sorriso ammiccante e alle sue parole rassicuranti, le sue promesse invischianti.

La meschinità del personaggio di Steven, immediatamente chiara sia ai lettori sia alla coppia di anziani genitori, faticherà a emergere nella quotidianità avariata della giovane madre, la quale arriverà a mettere in serio pericolo l’esistenza del suo stesso figlio (malato di diabete) in nome di un mistico e inesistente potere salvifico che il cialtrone agghindato da santone crede di aver percepito nel suo intimo.

Un romanzo intriso di sessismo e apatia – Pensaci su, donna. Pensa a quello in cui credi, a quel che è il tuo posto. Io vado a mangiare qualcosa e quando torno vorrei ritrovare qui la mia fidanzata, una donna che, ne sono certo, è sottomessa alla sua Chiesa e, se Dio vuole, a suo marito – che, di certo, non fanno parte del pensiero dell’autore, ma che risultano allarmanti se presentati come eventualità plausibile nella nostra contemporaneità.

Tra tutto, è stata specialmente l’apatia a lasciarmi interdetto: nessuno dei personaggi cosiddetti buoni agisce per difendere se stesso, i propri valori, il proprio ruolo sociale e umano. Ciò che appare è una lenta forma di rassegnazione e un’accettazione completamente passiva degli eventi, anche di quelli della cui negatività si percepisce forte l’asprezza. La conclusione, in ultimo, porta con sé intenzioni e sviluppi al limite dell’assurdo.

Un romanzo che – ahimè – non è riuscito a conquistarmi, una storia senza empatia, fuori dalle  mie corde e priva di quella grazia indispensabile affinché un libro riesca a entrare completamente nei miei ricordi da incorniciare.