“La resilienza del Bosco”, di Giorgio Vacchiano – la recensione
Uomini e alberi sono più simili di quanto non si pensi.
La parola resilienza deriva dalla matrice latina “resilire” (da “re-salire”, saltare indietro, rimbalzare) ed esprime la capacità di fronteggiare una situazione difficile, ripristinando l’equilibrio iniziale: rinascere, quindi. Ripartire dopo un disastro, che non è mai così categorico come inizialmente appare – come ci racconta l’autore stesso di questo libro – Sfruttare ogni residuo di vita, i pezzi, i cocci, gli scarti di prima che si trasformano in portatori di nutrimento, energia e protezione.
Giorgio Vacchiano, ricercatore e docente, ma soprattutto amante dei boschi e della Natura, ci prende letteralmente per mano con lo zaino sulle spalle, portandoci non soltanto all’interno di un viaggio per le foreste del mondo, ma anche all’interno della sua biografia, che sembra avere origine esattamente sotto le fronde smeraldine degli alberi profumati di resina.
La resilienza del bosco – ed. Mondadori, collana Strade Blu – diviene, in questo modo, una vera e propria esperienza e non solo una lettura passiva delle avventure nel mondo di un viaggiatore qualunque. Un’esperienza pronta a raccontarci di come gli ambienti naturali siano riusciti, nel corso della storia, a trovare la forza per recuperare gli equilibri perduti, per risorgere dalle ceneri delle loro cortecce violate, per superare le avversità di una convivenza scomoda – quella con l’essere umano, s’intende.
Giorgio Vacchiano si concentra, però, anche sul ruolo che l’uomo stesso potrebbe avere nel percorso di salvaguardia della Terra: partendo dal concetto secondo il quale le foreste, quando funzionano bene, possiedono l’incredibile dono di rendere resilienti non solo gli alberi che le popolano, ma anche le comunità di persone che vi abitano attorno, l’autore vuole farci riflettere su quanto ciascuno di noi abbia davvero necessità di imparare dal mondo vegetale e di diffondere la preziosità di questi insegnamenti, al fine di vivere meglio, più consapevolmente. Solo agendo in collettività, solo rinunciando a poco per ottenere qualcosa di incommensurabilmente maggiore possiamo impedire la perdita della resilienza del bosco e riscattarci agli occhi e ai cuori della Natura e della Terra: perché le foreste conservano non soltanto la memoria dei cambiamenti del pianeta, ma anche la memoria dei nostri cambiamenti.
L’uomo è stato – ed è tutt’oggi – il maggiore distruttore della bellezza del pianeta; paradossalmente, la salvaguardia della Terra potrebbe partire dalle mani e dalle consapevolezze del suo stesso carnefice. È dall’uomo che può ripartire la ri-costruzione di un equilibrio tra uomo e Natura: noi umani dovremmo soltanto comprendere che la resilienza del bosco è, anche, la nostra resilienza. [E] forse non è un caso che la parola “umano” derivi dal latino “homo”, dalla stessa radice di “humus”, Terra.
La sopravvivenza della Terra getta le sue radici di speranza in un equilibrio ancora da scoprire.