L’ebreo errante, romanzo d’appendice (romanzo in feuilleton) francese opera di Eugène Sue, dopo anni di assenza dalle librerie italiane, torna sui nostri scaffali nell’edizione Rusconi tradotta da Rosa Anna Rita Costanzo – che sarà disponibile per l’acquisto a partire da venerdì 1 maggio 2020.

L’ebreo errante – il cui titolo originale in lingua francese è Le Juif errant – venne originariamente pubblicato a puntate sul quotidiano Le Constitutionnel e, solo successivamente, proposto in volumi al pubblico francese.

Nato a Parigi il 26 gennaio 1804 da una famiglia di chirurghi benestante, dandy e viaggiatore, Eugène Sue esordisce nel mondo letterario parigino con vari racconti d’ambientazione marinara che incontrano subito il favore dei lettori a lui contemporanei. Dopo aver ereditato la fortuna paterna, si dà al vizio e conquista numerose amanti, dilapidando però tutta la sua eredità. Si darà così alla scrittura per sopravvivere. Tra le sue opere di maggior spessore – che lo consacreranno alla letteratura dell’epoca, specialmente sopo la svolta letteraria socialista – si annoverano I misteri di Parigi e, per l’appunto, L’ebreo errante.

Come possiamo leggere nell’introduzione all’edizione Rusconi de L’ebreo errante, scritta dalla traduttrice, Eugène Sue mostra, nella sua produzione, la miseria umana e il popolo nell’ombra che la letteratura tradizionale volutamente ignorava: gli umiliati, i dimenticati, gli emarginati hanno, infatti, un ruolo da protagonista nei suoi romanzi privi di allegorie e in cui la realtà quotidiana è descritta fin nei suoi più sordidi dettagli. La suspense del feuilleton, inoltre, gli permette di sensibilizzare l’opinione pubblica sul lavoro infantile, sul dramma delle ragazze madri, sulla miseria degli invalidi del lavoro.

Proprio L’ebreo errante va ulteriormente a denunciare i misfatti del sistema sociale: tra le pagine del romanzo, difatti, si vive appieno il trionfo dell’ingiustizia con la compagnia di Gesù che ha la meglio sui membri della famiglia che vuole depredare. La critica sociale attraversa tutta la storia e, proprio nelle conclusioni, l’autore si difende dalle accuse ricevute, riassumendo le sue denunce: l’insufficienza dei salari, le cauzioni troppo alte, la condizione delle donne lavoratrici, la facilità con cui le persone vengono rinchiuse in manicomio. Al contempo, egli propone anche soluzioni, come la creazione delle case comuni degli operai.

L’opera ha in sé anche un tocco mistico, incarnato nei personaggi di Erodiade e dell’ebreo errante, costretti a vagare sulla terra da diciotto secoli e che saranno perdonati, poi, dal Signore mediante una sorta di contrappasso.

Il romanzo è costituito da una sequenza di nodi drammatici emotivamente coinvolgenti seguiti da improvvise cadute della tensione. Tale tensione emotiva è ottenuta grazie all’uso di un linguaggio ridondante e melodrammatico; la caduta della stessa, invece, è generata alternativamente da un intervento esterno – spesso opera del narratore onnisciente – o da un intervento fantastico. Dominano le pagine del romanzo i due personaggi fantastici dell’ebreo errante e della sorella: il primo è simbolo degli oppressi e della classe operaia lavoratrice condannata a una fatica gravosa senza compenso; la seconda, invece, simboleggia la donna oppressa e conculcata nei suoi diritti.

Eugène Sue morì quasi nell’oblio, colto dalla malattia mentre si trovava in esilio in Savoia (egli era stato, infatti, costretto all’emigrazione a seguito del colpo di Stato bonapartista del 1851. Venne poi accolto ad Annecy, malgrado l’opposizione del clero locale, grazie alla politica liberale del governo di Massimo d’Azeglio). Il suo rimase per lungo tempo un ricordo, ma la potenza sociale e evocativa dei suoi scritti lo hanno portato fino ai giorni nostri: spesso, questo, è il Destino degli autori popolari che vengono sopraffatti dalle loro opere e che lasciano titoli di romanzi più che il valore del proprio nome.

Ed è proprio su questa scia che Rusconi sceglie di ripubblicare con una nuova traduzione una delle opere più importanti dell’autore francese. Scelta che si veste di un valore ancora più forte – e tremendamente attuale – se si pensa che una consistente parte dell’azione narrativa in L’ebreo errante si svolge durante un’epidemia di colera e che alcuni passi (come quello che su gentile concessione della traduttrice vi riporto a seguire) sono molto attuali nella presente situazione:

Tempo terribile! Un velo di lutto si era steso su Parigi, un tempo così gioiosa. Mai però il cielo era stato di un azzurro più puro e più sereno, mai il sole aveva brillato più radioso. L’inesorabile serenità della natura durante le devastazioni del mortale flagello offriva un contrasto strano e misterioso. L’insolente luce di un sole abbagliante rendeva ancora più visibile l’alterazione dei visi causata dalle mille angosce della paura. Tutti tremavano, per sé, per i propri cari. I lineamenti tradivano qualcosa di inquieto, di stupito, di febbrile. I passi erano precipitosi come se, camminando più in fretta, ci fosse la possibilità di sfuggire al pericolo. Ci si affrettava a rientrare in casa, dove si lasciava la vita, la salute e la felicità perché, due ore dopo, spesso vi si ritrovava l’agonia, la morte e la disperazione. A ogni istante delle cose nuove e sinistre colpivano la vista: delle volte passavano per le strade dei carretti carichi di bare impilate in maniera simmetrica. Si fermavano davanti a ogni dimora: degli uomini vestiti di grigio e di nero aspettavano sulla porta, tendevano le braccia e a qualcuno davano una bara, ad altri due, talvolta tre o quattro alla stessa casa, tanto che spesso andavano via senza aver servito molti morti della strada e il carretto, arrivato pieno, ripartiva vuoto.
In quasi tutte le case, dal basso in alto, dall’alto in basso, vi era un rumore assordante di martellate: si inchiodavano le bare e lo si faceva così tanto che delle volte gli inchiodatori si fermavano stanchi. Si sentiva ogni sorta di grida di dolore, gemiti lamentosi, imprecazioni disperate. Erano i superstiti a cui gli uomini grigi e neri avevano portato via qualcuno per riempire le bare. Le si riempiva in maniera incessante, si inchiodavano giorno e notte, più di giorno che di notte perché al crepuscolo, dato i carri insufficienti, arrivava una lugubre fila di carrozze mortuarie improvvisate: carri di tutti i tipi erano usati per il trasporto funebre. Al contrario delle altre che per le vie entravano piene e uscivano vuote, queste entravano vuote e uscivano piene.

Un testo, L’ebreo errante, che vale certamente la pena di recuperare e nel quale spero di immergermi presto io stesso, per assaporare in prima persona le vicende e le sensazioni di questo romanzo scritto nel 1832 ma che mantiene in sé le caratteristiche necessarie per poter essere considerato un testo più che contemporaneo.

DATI TECNICI:

  • Titolo: L’ebreo errante
  • Codice ISBN: 9788818036015
  • Autore: Eugène Sue
  • Editore: Rusconi editore
  • Collana: I grandi capolavori
  • N. Pagine: 1168

TRAMA:

Sette eredi della famiglia Rennepont, discendenti dell’ebreo errante, hanno una medaglia su cui c’è scritto un indirizzo di Parigi dove si devono recare il 13 febbraio del 1832. Centocinquant’anni prima, un loro antenato aveva lasciato un’eredità da far fruttare e poi dividere tra i discendenti. Ma i gesuiti, convinti di esserne i legittimi proprietari dato che alcuni soldi erano stati presi dai loro fondi, cercano di impedire a sei dei membri della famiglia di raggiungere Parigi (facendoli imprigionare, drogare, ecc.) e di far arrivare solo uno di loro, un prete gesuita. I membri riescono bene o male a liberarsi, ma l’apertura del testamento viene postdatata. Allora prende le redini della situazione il sig. Rodin, uno dei capi dei gesuiti, che a poco a poco provoca la morte di ciascuno dei sei membri, ma l’eredità viene data alle fiamme dall’ultimo discendente.