Nel 1894 Sir Arthur Conan Doyle presentava al suo pubblico appassionato il romanzo breve Il parassita, un testo che si discosta dalla produzione dell’autore più nota al grande pubblico e che ha per protagonista l’istrionico Sherlock Holmes e il fidato investigatore Watson. Al centro de Il parassita vi è una delle dicotomie principi dell’età vittoriana, ossia quella che ha visto in opposizione la scienza e l’occulto, la dimostrabilità dei fatti e la straordinarietà dell’inspiegabile. Per tale ragione, questo romanzo breve di Doyle si immerge del tutto all’interno della sua epoca e rappresenta, per noi lettori contemporanei, un prezioso contributo per la ricostruzione non solo letteraria ma anche sociale di un’epoca colma di mutamenti e vicissitudini interessanti.

L’edizione proposta da Caravaggio editore, in uscita proprio oggi – giovedì 7 maggio 2020 – tradotta e curata da Andrea Oscar Ledonne e presente nella (mia amata!) collana editoriale de I Classici Ritrovati diretta da Enrico de Luca, ripropone, dunque, un viaggio letterario a cavallo tra la scientificità e il paranormale, con la consueta eleganza grafica e l’accortezza testuale che contraddistingue questi scrigni di parole.

Sulla scena de Il parassita, le due componenti della scienza e del sovrannaturale vengono rappresentate da due personaggi ben delineati: il professore Austin Girloy – uomo di scienza e docente universitario, pragmatico e dedito ai numeri, alla dimostrabilità dei fatti e alla concretezza – e Miss Penclosa – una donna storpia dotata di apparenti poteri soprannaturali. Lo spirito fortemente vittoriano dell’opera (e, conseguentemente, dell’epoca nella quale la narrazione è ambientata) emerge proprio dalla scelta e dalla caratterizzazione del personaggio di Miss Penclosa: ella è, infatti, una figura rappresentativa, per antonomasia, dell’alterità. Donna, straniera dalla pelle scura, legata all’esotico e all’altrove, dotata di poteri seduttivi, affiancata – se non addirittura sovrapposta – al demonio e alla tentazione, raffigurata, verso la conclusione dell’opera, con tratti e pulsioni animalesche. Nel connubio fortemente caratteristico dell’Inghilterra (se non dell’intera Europa) di metà Ottocento, ecco che la figura femminile – negativa – viene demonizzata e quasi scomposta, analizzata come avrebbe fatto un seguace di Lombroso.

Non amo nessuno di questi venditori di misteri, ma il dilettante meno di tutti.

Un altro elemento caratteristico del periodo storico-sociale nel quale viene ambientata la narrazione di Doyle è strettamente legata ai fenomeni di mesmerismo (o magnetismo animale) e alle terapie dei mali del corpo e della mente teorizzate dal medico tedesco Franz Mesmer. Proprio nel mezzo di una seduta di mesmerizzazione e di ipnosi ha inizio, ne Il parassita, la quête del nostro eroe, dell’uomo di scienza che, con la volontà di spiegare razionalmente dei fenomeni altamente inspiegabili come quelli proposti da Miss Penclosa, si imbarca verso l’ignoto, facendosi ipnotizzare dalla donna e partendo per la strana escursione che ci terrà compagnia fino al termine della narrazione.

Voi mandate la vostra anima nel corpo di un’altra persona.
Beh, potreste metterla in questo modo.
E il vostro corpo che fa?
Cade semplicemente in letargo.

Un viaggio, quello del professor Girloy, che lo condurrà sia nella fascinazione dell’inatteso (le prime sedute ipnotiche, infatti, lasciano del tutto sbalordito l’uomo di scienza – ho mostrato che la mia devozione alla scienza è più grande della mia personale coerenza) sia nel più completo dei disastri. Il parassita che dà il titolo a questo scritto, infatti, non è altro se non la stessa Miss Penclosa, l’ossessione che di lei si sviluppa nella mente del professore, la costante sensazione di sentirsi abitato, di non avere il controllo né del proprio “io” né delle proprie azioni. La donna si trasforma in una mostruosa tentazione capace di minare non solo le certezze teoriche dell’uomo, ma soprattutto il suo amore per Agatha Marden, la controparte “bianca” dell’universo femminile proposto da Arthur Conan Doyle. Miss Penclosa, come sosterrà lo stesso Girloy, ha un’anima parassita che si insinua nella sua quotidianità (la medesima quotidianità che noi lettori seguiamo per tutta la durata della narrazione – il romanzo, infatti, è strutturato come se fosse un diario) e mina ogni realismo.

Sarà proprio il legame con Agatha a consentire a Austin Girloy di proseguire nei suoi sforzi di contrastare l’influenza maligna di Miss Penclosa, in questa storia di possessione demoniaca capace di porre il lettore di fronte all’interrogativo che prosegue anche dopo l’ultimo punto: si è trattato di magia, di vera e propria possessione o di una banale suggestione indotta ad hoc nella mente e nel cuore del professore?

Un bel romanzo breve, la compagnia di un pomeriggio e l’occasione di affrontare un Conan Doyle diverso da come lo abbiamo generalmente conosciuto. Un plauso, come sempre, a Caravaggio editore per le sue proposte di lettura gradevolissime e portatrici di riflessioni.

È solo nella sfortuna che qualcuno può mettere alla prova la propria popolarità.