Non parlava mai, ma diceva qualcosa.

Nel 1910, Lucy Maud Montgomery consegnò all’avida curiosità del suo pubblico un romanzo breve del quale, però, non sembrava completamente convinta: l’autrice, infatti, credeva che la vicenda, i personaggi e le tematiche inserite in Kilmeny del frutteto potessero deludere i suoi lettori – non ritenendo, infatti, l’opera all’altezza delle precedenti. Come talvolta accade agli autori (spesso troppo protettivi nei confronti delle proprie creature d’inchiostro e sogno), però, la Montgomery si sbagliò e la storia di Kilmeny ottenne numerose recensioni cariche di entusiasmo e lodi – non soltanto per la performance d’autore, ma anche per l’ottimo utilizzo delle fonti, i cammei poetici e le scelte metaforiche incastonate tra le pagine del romanzo.

A poco più di un secolo di distanza dalla prima edizione, ecco che Caravaggio editore e Enrico del Luca danno nuova linfa e risalto a questa opera minore dell’autrice della Saga di Anne, proponendola ai lettori italiani nella preziosa veste della collana de “I classici ritrovati“, consentendoci di entrare in punta di piedi nel frutteto di Kilmeny e ascoltare, insieme a Eric Marshall le note suadenti del suo violino.

La trama di Kilmeny del frutteto è lineare e piuttosto semplice: la protagonista è una giovane fanciulla muta, il cui unico mezzo espressivo – oltre alla grafia – sembra essere il suo strumento musicale: un violino attraverso le cui corde Kilmeny riesce a manifestare i propri stati d’animo, le sillabe che la vita le ha negato, l’alienazione salvifica dentro cui, spesso, è costretta a ripararsi. La quotidianità solitaria e incantata della giovane – che si rifugia nel frutteto che dà il titolo all’opera per suonare indisturbata e smarrirsi nel suono delle corde del violino – si incrocia con quella di Eric Marshall, docente straniero trasferitosi momentaneamente sull’Isola del Principe Edoardo per sopperire alla defezione temporanea di un insegnante nella scuola della cittadina. Com’è facile immaginare, tra i due sorgerà un sentimento dall’incipit romantico, a cui farà seguito un’asprezza che farà vacillare le sorti della reciproca conoscenza. La penna di Lucy Maud Montgomery scioglierà – o forse no? Questo sta a voi scoprirlo – i nodi dei Destini dei suoi personaggi, consegnandoci quelle carezze di carta a cui le sue storie ci hanno abituato.

Non è dunque, come avrete facilmente immaginato, la trama a colpire i lettori che si avvicinano e approfondiscono il mondo racchiuso tra le pagine di Kilmeny del frutteto. In aggiunta ai rimandi e ai riferimenti che legano l’eroina di Montgomery alla ben più nota (all’epoca, quantomeno) Kilmeny del folklore scozzese – personaggio medioevale della raccolta di poesie epiche The Queen’s Wake, scritta da James Hogg nel 1813 – questo breve romanzo propone al lettore un confronto con alcune tematiche fondamentali della crescita umana e del discernimento personale, nell’inconfondibile stile della sua autrice.

Io credo, come diceva una mia vecchia zia eccezionale, che quello che deve essere sarà e quello che non deve a volte accade. E sono precisamente tali sfortunati accadimenti che fanno andar male lo schema delle cose.

Il Destino, lo sappiamo, gioca un ruolo cruciale nei nostri percorsi, nelle direzioni di vita e nelle vicissitudini che ci colpiscono. Anche in Kilmeny del frutteto la razionalità e la consapevolezza umana si uniscono, fondendosi, al volere superiore e inconoscibile del Fato che muove i fili delle realtà dei protagonisti del romanzo, portandoli a unioni, separazioni, disvelamenti e bivi sempre diversi, spesso inaspettati ma che sapranno, in unione con l’intelligenza e la resilienza, portare all’ultimo punto con una presenza di spirito certamente maggiore.

Sì, mi piace. Ma mi ha fatto anche male. Non pensavo che a una persona potesse piacere qualcosa che le facesse male. Non so perché mi ha fatto male. Mi sono sentita come se avessi perso qualcosa che non ho mai posseduto. È una sensazione piuttosto stupida, non è vero?

Altro tema trattato in Kilmeny del frutteto è proprio il dolore, presente tra le righe in alcune delle sue diverse e innumerevoli sfaccettature: il dolore fa parte del percorso di maturazione di ciascuno di noi; in tal senso, il dolore è un sentimento universale. La presenza di alcuni frammenti di dolore nel romanzo di Montgomery (il dolore amoroso-sentimentale, il dolore familiare, il dolore fisico, il dolore dell’incomunicabilità) rende questa opera realista e assimilabile, anche solo a livello di temi e ritornelli, al realismo della vita vera, del mondo che scorre al di là delle pagine romanzesche. Il dolore è un aspetto comune tra il nostro mondo e l’universo letterario; l’accettazione della sua esistenza e il desiderio di affrontarlo per tentare di superarlo – o anche solo accettarlo – è un passaggio fondamentale nel rito della crescita personale.

A completare l’assetto dei temi principali trattati da Lucy Maud Montgomery in questo romanzo, è impossibile dimenticarsi di citare il tema della musica e il tema della comunicazione, dell’espressività – tematiche separate, ma incredibilmente connesse e necessarie l’una all’altra. La giovane Kilmeny, infatti, essendo muta, ha trovato il proprio strumento di comunicazione, la propria voce negata grazie alle corde tese del violino, che le consentono non solo di esprimere le emozioni dell’animo e la sua insita creatività, ma sembrano quasi farsi portavoce del mutismo di Kilmeny. Nel frutteto di Kilmeny, le sette note diventano le lettere dell’alfabeto con cui comporre frasi, raccontare storie, dare un nome all’amore. Tra le fronde e i petali profumati, la comunicazione interpersonale e emotiva tra Eric e Kilmeny assume i ritmi del pentagramma, si concede le pause decretate da segni incontrati tra una nota e l’altra e viene diretta da una bacchetta invisibile che ne determina i battere e i levare. Il desiderio di comunicazione tra i due personaggi li spinge a trovare una forma univoca di linguaggio, li spinge – in sostanza – a suonare all’unisono.

Un romanzo – Kilmeny del frutteto – gradevole e senza pretese, una coccola letteraria, una carezza d’inchiostro che lascerà sul viso dei lettori, dopo l’ultimo punto, un sorriso tiepido e un luccichio positivo nello sguardo.

Eric le raccontò della sua vita, e della vita nel grande mondo là fuori, al quale ella era infantilmente e ansiosamente interessata. Gli fece molto domande al riguardo… domande incisive e dirette che dimostravano come si fosse già formata opinioni e idee precise in merito. Ma era evidente che non lo considerava come qualcosa alla quale anche lei avrebbe mai potuto partecipare. Il suo era l’interesse spassionato con il quale avrebbe potuto ascoltare una storia sul paese delle fate o su qualche grande impero ormai cancellato dalla faccia della Terra.