In occasione della pubblicazione del secondo volume de “La sorella minore”, di Catherine Hubback (ed. Vintage editore) – di cui già potete leggere la mia recensione al primo volume cliccando qui – ovvero del proseguo ideale del romanzo austeniano incompiuto “I Watson” di Jane Austen ho preso parte al BlogTour organizzato dalla casa editrice. Tra i vari temi da poter presentare, quello che a mio avviso poteva dirsi il più interessante e particolare è stato senza dubbio quello legato alla scelta editoriale di proporre il romanzo nella maniera dell’epoca in cui esso è stato pensato, scritto e dato alle stampe: la suddivisione in tre volumi.

Un Three-Volume Novel, come si chiamava all’epoca, era difatti un romanzo pubblicato in più parti (tre, nella fattispecie), nonché una tecnica letteraria per mantenere la suspance nei lettori (in tal senso, molto di deve e molto apparterrà ancora al cosiddetto romanzo d’appendice, di cui gli autori francesi i ben più conosciuti feuilleton, furono esponenti di spicco. I romanzi in tre volumi iniziarono ad essere prodotti dall’editore Archibald Constable di Edimburgo all’inizio del XIX secolo. Constable fu uno degli editori più significativi degli anni Venti dell’Ottocento e ottenne un successo pubblicando costose edizioni in tre volumi delle opere di Walter Scott.

Anche la cara zia Jane non si allontanò da questa utilizzatissima scelta d’autore e propose al suo pubblico anche alcuni dei suoi romanzi più noti nella tripartizione che la Vintage Editore ha scelto di mantenere per la sua edizione del romanzo di Catherine Hubback (ricordo che Hubback fu nipote diretta di Jane Austen e che la sua rivisitazione della storia abbandonata dalla zia resta, quindi, la più fedele e coerente con le iniziali intenzioni dell’autrice).

È fondamentale sottolineare che un romanzo in tre volumi non sta a indicare una trilogia (come la intenderemmo noi oggigiorno), ma una vera e propria forma di attesa, la quale generava nel lettore dell’epoca un forte senso di curiosità e, insieme, il desiderio di scoprire il proseguo delle vicende appena abbandonate – una mossa sì furba, ma densa di rischi e sulla quale non tutti gli editori sentivano di poter contare, specialmente se l’autore andava firmandosi con by A Lady. La scrittura femminile, in quell’epoca, non aveva ancora un proprio riconoscimento e, molto spesso, le scrittrici dovevano necessariamente trovare uno pseudonimo maschile con cui firmarsi – in alternativa all’anonimato (si pensi a Mary Anne Evans, che tutti noi conosciamo come George Eliot).

La scelta della Vintage Editore è coraggiosa, saggia, azzardata, particolare? Tutto e il contrario di tutto – oserei dire. Personalmente trovo interessante il poter rivivere per mezzo de “La sorella minore” le sensazioni e il crescente desiderio di scoprire, di attendere, di meditare e speculare sul proseguo delle vicende. In un’epoca abituata alla frenesia, all’immediatezza, all’impulsività, Daniela Mastropasqua e la squadra della Vintage Editore sceglie una via meno canonica, ma certamente apprezzabile e riconoscibile – e da questa decisione si percepisce, senza dubbio, anche tutto l’amore e la riverenza che dovremmo avere nei riguardi di Opere letterarie dimenticate, ma non per questo prive di gusto, slanci e passione.

Sto leggendo in questi giorni questo secondo volume e, a fine settembre, ne potrete leggere una recensione dedicata. Nel frattempo – però – voglio porvi una domanda: cosa ne pensate, voi, della scelta di mantenere la suddivisione in tre volumi (quindi, l’originale) per questo romanzo di Catherine Hubback?