L’appuntamento di quest’oggi con la rubrica #BecomingJane ci porta ad approfondire un aspetto socio-culturale pregnante dell’epoca in cui la scrittrice ha vissuto: lo scambio epistolare. Le lettere non erano “universalmente riconosciute” come mezzo di comunicazione – sia formali sia informali – ma costituivano un vero e proprio elemento della quotidianità della società. In ultimo, come abbiamo già visto in precedenza (nonché nella rubrica #LeggendoClarissa, sempre presente su questo blog), gli scambi epistolari potevano costituire la maglia di alcune narrazioni: i cosiddetti romanzi epistolari.

Jane Austen era un’esperta scrittrice di lettere, poiché lo scambio epistolare era una pratica tipica della sua epoca. Dalle sue lettere che ancora ci rimangono – quelle che la sorella Cassandra ha deciso di risparmiare dalle fiamme che hanno invece distrutto per sempre la corrispondenza più intima della scrittrice – emerge la sublime capacità di raccogliere, sia in brevi righe che in più lunghe pagine, fatti ed eventi (molto spesso accaduti semplicemente all’interno delle mura domestiche) e di raccontarli con la spiccata ironia tipica della Austen romanziera.

Il nipote James Edward Austen-Leigh nel Memoir descriverà le lettere della zia nei seguenti termini: “Si può dire che ricordano i nidi che alcuni piccoli uccelli costruiscono coi materiali che hanno più a portata di mano coi rametti e col muschio fornito dall’albero stesso in cui si trova il nido; […] Le sue lettere recano di rado l’anno, o la sua firma completa“.

In Ragione e sentimento – come, ovviamente, in Lady Susan – lo scambio epistolare ha un’importanza non indifferente. Anche dal punto di vista della caratterizzazione psicologica, come osserva Meneghelli, “uno dei problemi che la Austen dovette risolvere, attraverso le varie stesure di Sense and Sensibility, è quello di come sollecitare la simpatia nei confronti dei suoi personaggi nonostante le loro mancanze, nonostante l’esplicita condanna da parte dell’autrice; e non è certo un caso se la storia aveva inizialmente trovato espressione in forma epistolare: l’espediente di usare le stesse eroine come narratrici che riportano le proprie esperienze offriva la possibilità di considerare le vicende del romanzo attraverso i loro stessi occhi […]. Nel romanzo così come lo conosciamo, questo risultato è ottenuto dalla Austen dando sempre ai personaggi, la possibilità di mettere a nudo la propria anima“.

Abbiamo visto, nel precedente episodio, quale sia l’atteggiamento del signor Willoughby nei confronti della giovane signorina Dashwood, lasciandola assolutamente sconcertata. Jane Austen ci permette di leggere, quando il dolore di Marianne per questo ingiusto inganno si fa sempre più acuto, le tre lettere che la sua eroina aveva inviato a Willoughby, prima di venire a conoscenza del suo imperdonabile comportamento:

Elinor non disse altro, e tornando a rivolgersi alle tre lettere che ora destavano in lei una curiosità assai più viva di prima, ne scorse immediatamente il contenuto. La prima, quella che sua sorella aveva spedito appena arrivata a Londra, era del seguente tenore:

Berlkley Street, gennaio
Come sarai sorpreso, Willoughby, di ricevere questa lettera! E credo proverai qualcosa più che sorpresa quando saprai che sono a Londra. L’occasione per venire qui, sia pure con la signora Jennings, è stata una tentazione a cui non abbiamo saputo resistere. Vorrei tu potessi ricevere questa mia lettera in tempo per venire qui da noi questa sera, ma non ci spero. A ogni modo, ti aspetto domani. Per il momento, adieau.
M. D.

Il suo secondo messaggio, che era stato scritto la mattina dopo il ballo dei Middleton, riportava queste parole:

Non so esprimerti la mia delusione per non averti visto l’altro ieri, né la mia sorpresa per non aver ricevuto alcuna risposta al biglietto che ti ho mandato circa una settimana fa. Ho aspettato di ricevere tue notizie, e ancor più di rivederti, in ogni minuto del giorno. Ti prego, torna di nuovo non appena sarà possibile, e spiegami il motivo per cui ti ho atteso invano. Ieri sera siamo stati da Lady Middleton, dove c’era un ballo. Mi hanno riferito che eri stato invitato anche tu. È possibile? Devi essere davvero molto cambiato da quando ci siamo separati, se tutto questo è vero. Ma non voglio immaginare che questo sia possibile, e spero di ricevere al più presto una tua personale conferma.
M. D.

Ed ecco il contenuto dell’ultima lettera inviatagli:

Che devo pensare, Willoughby, dato il tuo comportamento di ieri sera? Ti chiedo di nuovo una spiegazione. Mi ero preparata ad accoglierti con tutto il piacere che la nostra separazione non poteva non causare, con la familiarità che la nostra intimità a Barton mi sembrava giustificare. E sono stata completamente respinta! Ho trascorso una notte tremenda, tentando di giustificare una condotta che è difficile non definire oltraggiosa; ma anche se non sono riuscita a trovare alcuna scusa ragionevole per il tuo comportamento, sono più che pronta a sentire la tua giustificazione. Forse sei stato male informato, o ingannato intenzionalmente su qualcosa che mi riguarda, e che può avermi fatto scadere nella tua stima. Dimmi di cosa si tratta, spiegami cosa c’è dietro al tuo comportamento, e io sarò felice di poterti dare soddisfazione. Mi farebbe molto male esser costretta a pensar male di te; ma se dovrò farlo, se dovrò riconoscere che tu non sei quello che fino a ora avevamo creduto, che il tuo affetto per tutte noi non era sincero, che il tuo comportamento verso di me mirava solo a ingannare, ebbene, che ciò venga detto chiaramente al più presto possibile. I miei sentimenti sono, al presente, terribilmente confusi; vorrei assolverti, ma di certo qualsiasi cosa sarà un sollievo, in confronto al dolore che provo adesso. Se i tuoi sentimenti non sono più quelli che erano, mi rimanderai le mie lettere, e la ciocca dei miei capelli che è in tuo possesso.
M. D.

Eppure, anche in Lady Susan troviamo un perfetto esempio di lettera – scritta stavolta da un personaggio maschile, Mr. Reginald de Courcy – indirizzata alla persona che si credeva essere l’anima gemella e che s’è invece rivelata una mera ingannatrice, interessata essenzialmente al divertimento derivante dal corteggiamento. Se nelle lettere di Marianne Dashwood è presente la preoccupazione di uno spirito tipicamente romantico, fortemente legato all’ingenuità dei sentimenti giovanili (e tale sentimento si perpetua anche in seguito alla rivelazione, da parte dello stesso Willoughby, della realtà dei fatti), in quelle di Reginald de Courcy, al contrario, il dolore viene superato dal disprezzo per la donna che l’ha intenzionalmente circuito ed ingannato: emerge, dunque, il classico affronto alla virilità maschile, che non viene accettato da Reginald, il quale scarica la propria indignazione sulla persona di Lady Susan:

Vi scrivo solo per dirvi addio. L’incantesimo si è spezzato. Ora vi vedo come siete. Ieri, quando ci siamo separati, ho appreso da fonte indiscutibile una tale storia su di voi che ho dovuto ammettere a me stesso, con grande umiliazione, di essere stato raggirato e che è assolutamente necessario che mi allontani immediatamente, e per sempre, da voi. Sapete benissimo a cosa alludo: Langford, questa parola vi basterà. La stessa Mrs. Manwaring mi ha messo al corrente di ogni cosa a casa di Mr Johnson. Voi sapete quanto vi ho amato e potete immaginare dentro di voi quali siano, in questo momento, i miei sentimenti; tuttavia, non sono così debole da indulgere a descriverli a una donna che si vanterà di averli calpestati, e che mai si è lasciata conquistare dal mio amore.

Mr. de Courcy, a differenza della troppo giovane signorina Dashwood, giunge a riconoscere il rischio che egli fortunatamente ha scampato e comprende quanto sarebbe stata maggiormente infelice la propria situazione se non avesse scoperto la realtà dei fatti:

Sono sicuro che una relazione della quale prima non avevo neanche sospettato, non solo è esistita per un certo periodo, ma ancora dura tra voi e l’uomo alla cui famiglia avete rubato la pace in cambio dell’accoglienza che vi aveva riservato! […] E tutto ciò avveniva nello stesso momento in cui mi avete incoraggiato e accettato come spasimante! Da cosa mi sono salvato! Posso solo ringraziare il cielo. Bando ai lamenti e ai sospiri di rimpianto. La mia insensatezza mi ha messo in pericolo e devo la mia salvezza alla cortesia e alla correttezza di altri. […] Dopo una scoperta del genere, non fingete più meravigliandovi della mia intenzione di lasciarvi. Finalmente ho ritrovato la luce della ragione che mi insegna a detestare gli artifici che mi avevano soggiogato, e a disprezzare me stesso per la debolezza su cui la loro forza era fondata.

Grazie allo stratagemma dell’uso delle lettere, Jane Austen non solo può mostrare ai lettori – senza apparire eccessivamente indiscreta nei confronti dei propri personaggi – quanto sia giustificata la sofferenza provata dagli “abbandonati”, ma – soprattutto – evidenziare, in un caso, la tremenda malvagità di chi si è finto sinceramente innamorato e, nell’altro, l’infinito ed acuto dolore di chi si è sentito ingiustamente abbandonato.