“Jane Austen” e “storie d’amore” vengono associati più spesso di quanto un vero janeite vorrebbe. Sarà capitato a tutti di intavolare un discorso incentrato sulla nostra autrice e ricevere commenti o risposte esclusivamente riferito alle trame romantiche e alle storie svenevoli partorite dalla sua penna. Ebbene, noi sappiamo che Jane Austen scrisse sì alcune tra le più belle storie d’amore della letteratura, ma che queste non erano fini a se stesse. L’universo austeniano contiene una miriade di sfaccettature più o meno celate – alcune le conosciamo già, altre le abbiamo analizzate nelle scorse puntate di #BecomingJane, altre ancora le vedremo in seguito. Oggi, a discapito di quanto detto nelle righe precedenti, affrontiamo la tematica dell’innamoramento.

Tutti sanno che Miss Austen non si sposò mai, nonostante conoscesse ogni segreto del corteggiamento e fosse perfettamente in grado di raccontare lunghe storie colme di innamoramenti sognanti, passioni represse e matrimoni ben riusciti. Dara Kotnik, nel suo noto saggio su Jane Austen, scrive: “Benché in proposito rimangano sparse informazioni e tutte vaghissime, sul suo innamoramento non ci sono dubbi. Ne parlò lei stessa, all’inizio del 1796, in una lettera alla sorella, che si era recata in visita dai futuri suoceri. […] Jane si riferì di sfuggita, ma con chiaro linguaggio, ad un ragazzo imparentato con i Lefroy e da poco giunto dall’Irlanda: «…sono quasi imbarazzata nel riferirti come io e il mio Irlandese ci siamo comportati. Immagina tu stessa quanto di più arrischiato e sconvolgente ci sia nel modo di ballare e di sedere insieme. Lo rivedrò soltanto un’altra volta poiché lui ripartirà venerdì prossimo, dopo la festa ad Ashe. Ti assicuro che è una persona educata, attraente e affabile. Ma a parte l’esserci incontrati agli ultimi tre balli, non posso dire molto: per causa mia, di lui si è già riso abbastanza, ad Ashe, e al punto che ora si vergogna di venire a Steventon. Quando giorni fa siamo andate dalla signora Lefroy è praticamente fuggito…». […] Jane prevedeva una proposta di matrimonio («la rifiuterò», scherzava, «a meno che egli non rinunci per sempre alla sua giacca bianca») e aspettò inutilmente.”

Forse perché, come scrisse Virginia Woolf nel suo famoso trattato di letteratura e manifesto femminista, “Jane Austen non desiderava ciò che non aveva”.  Secondo la studiosa Anna Luisa Zazo, Jane Austen seppellì il suo ultimo desiderio di matrimonio in uno dei suoi romanzi meglio riusciti, l’ultimo ad essere completato: Persuasione. Anne Elliot, nell’ottica della Zazo, sarebbe dunque un “alterego dell’autrice: si sarebbe tentati di pensare che la «cara zia Jane», lasciatasi da una decina d’anni alle spalle ogni speranza d’amore, avesse raggiunto lei stessa un equilibrio, una sua completezza, avesse trovato la sua pacificazione, ignara che non le sarebbe stato concesso di viverla a lungo, e avesse voluto creare un’eroina, non ritratto di se stessa, ma in armonia con la nuova se stessa”. Infine, l’ironica opinione di Fay Weldon – scrittrice, drammaturga e saggista britannica i cui lavori sono stati spesso definiti femministi – è: “credo anche… che il motivo per cui nessuno l’ha sposata sia lo stesso per cui Crosby non ha pubblicato L’abbazia di Northanger. Era troppo. Là, sotto tutta quella spumeggiante allegria, covava qualcosa di davvero spaventoso: qualcosa in grado di afferrare il mondo per la coda e scuoterlo”.

Lady Susan consente a noi lettori di domandarci quanto Jane Austen desse importanza all’innamoramento; e tale riflessione assume un’importanza non indifferente se confrontiamo l’ideale dell’eroina di questo romanzo epistolare con la – oramai – ben conosciuta Marianne Dashwood.  Lady Susan non prova la minima vergogna né si pone alcuno scrupolo nel pensare ad un nuovo possibile matrimonio subito dopo la morte del defunto Mr. Vernon, suo marito. Al momento della narrazione (che, in totale, dura all’incirca sei mesi), infatti, sono trascorsi solamente quattro mesi dalla scomparsa di quest’ultimo, ma ci è immediatamente possibile notare come la protagonista si privi con disarmante facilità del lutto per gettarsi a capofitto nella ricerca di un partito. Non contenta del flirt con il già sposato Mr. Marwaring e col ricco ed ambito Mr. Reginald de Courcy, ella finirà per accontentarsi dello sciocco Sir James Martin: le loro nozze porteranno presto alla conclusione del romanzo, con tutte le conseguenze che ne derivano. Tali conseguenze possono dirsi sommariamente positive: il matrimonio di Lady Susan con Sir James Martin, infatti, libera la figlia Frederica dall’obbligo genitoriale di sposare il medesimo uomo e le permette di sperimentare pienamente un amore felice e spontaneo con Reginald de Courcy (che infine sposerà); consente a Mrs. Marwaring di proseguire felicemente il suo matrimonio col marito, senza il terrore che Lady Susan tenti nuovamente di rovinare la sua serenità; libera l’amica Alicia Johnson dal peso (ella sarà così intelligente da rendersene conto?) di un rapporto che avrebbe portato essenzialmente nuove problematiche nella sua esistenza, a causa dei continui intrighi della complice.

La mancanza di scrupoli e la totale freddezza con cui la donna affronta dapprima il corteggiamento e successivamente il fidanzamento sono in linea con il suo personaggio gretto e negativo. Tale caratterizzazione cozza visibilmente con la visione ben più candida e sognante della giovane Marianne Dashwood che, al contrario, è convinta che ci si possa innamorare una sola volta in tutta la durata della vita ed intende tener fede a tale principio a scapito degli affanni e del dolore interiore del Colonnello Brandon, enormemente innamorato della giovane in questione, ma non ricambiato. La signorina Dashwood non solo rifiuta le attenzione del Colonnello a causa della sua età e del suo aspetto inferiormente attraente (ricordiamo, infatti, che Marianne per gran parte del romanzo utilizza John Willoughby come strumento di paragone per la valutazione dell’aspetto e dei modi degli altri gentiluomini; non stupisce, quindi, che il maturo Colonnello Brandon apparisse meno appetibile del giovane libertino), ma soprattutto a causa di tale principio, che la vede apparentemente rinunciare alla felicità ed all’amore in cambio di una vita completamente solitaria e rivolta allo studio ed alla lettura. Ecco come, grazie ad una commovente conversazione tra il Colonnello Brandon e  la maggiore delle Dashwood – Elinor -, Jane Austen ci rende partecipi della mentalità romantica della sua giovane eroina:

«Vostra sorella, a quanto ho potuto capire, non ammette un secondo amore nella vita».        
«No», rispose Elinor, «le sue idee sono del tutto romantiche.»                                
«O piuttosto, mi sembra, lo ritiene impossibile.»                                                            
«Credo sia così. Ma come riesca a pensarlo, senza riflettere sul fatto che suo padre ha avuto due mogli, proprio non capisco. Nel giro di pochi anni, tuttavia, le sue opinioni si assesteranno sulla rispettabile base del buonsenso e dell’osservazione; allora saranno più facili da definire e da giustificare di quanto non lo siano adesso, da chiunque non sia lei stessa.» «Andrà probabilmente in questo modo», rispose lui, «tuttavia c’è qualcosa di così amabile nei pregiudizi di una mente giovanile che dispiace vederli lasciare il campo alla professione di opinioni  più comuni.»                                    
«Qui non posso essere d’accordo con voi», rispose Elinor, «sentimenti come quelli di Marianne comportano inconvenienti che neppure tutta la grazia dell’entusiasmo e dell’ignoranza del mondo può giustificare. I suoi sistemi implicano l’infelice tendenza al disprezzo delle convenienze; e spero davvero che una migliore conoscenza del mondo potrà esserle di grandissimo vantaggio.»                                
Dopo una breve pausa, lui riprese la conversazione, dicendo: «vostra sorella non fa nessuna distinzione nella sua obiezione verso un secondo amore? O esso è ugualmente colpevole per tutti? Anche coloro che sono stati sfortunati nella prima scelta, o per l’incostanza dell’oggetto del loro amore o per l’ostilità delle circostanze, dovranno restare indifferenti per il resto della vita?»                                
«Parola d’onore, non sono informata così in dettaglio in merito ai suoi principi! So solo che non l’ho mai sentita considerare perdonabile un esempio di secondo amore.»

Simili ideali non sarebbero stati assolutamente condivisi da Lady Susan. Forse, l’autrice aveva ardente desiderio di affrontare questi due diversi approcci all’innamoramento ed ha ben pensato di trattarli specificatamente in due differenti lavori nei quali le protagoniste incarnassero dapprima la totale assenza di romanticismo e, successivamente, l’esagerata passione romantica. Se, infine, consideriamo che all’epoca si azzardò l’ipotesi che il personaggio di Marianne Dashwood fosse una trasposizione su carta della stessa Jane Austen (James Edward Austen-Leigh, nel Memoir, racconta, in merito al rapporto tra Jane Austen e l’amata sorella Cassandra: “Quando uscì Senso e sensibilità qualcuno, che conosceva poco la famiglia, azzardò l’idea che le due maggiori signorine Dashwoods avessero per modello la sorella dell’autrice e l’autrice stessa“), l’importanza data a questo personaggio, ed alla sua storia, rispetto a quello di Lady Susan – che rimane “relegato” in uno scritto epistolare non destinato alle stampe – si fa ancora maggiore.