Ho già parlato varie volte su questo blog di Wilkie Collins, padre della sensational novel (o sensational fiction, se si preferisce), il quale ha abituato i suoi lettori al rapporto con i suoi classici “tomoni” (se volete saperne di più, cliccate qui!) – come si suol dire – velati dalla somma tra le componenti del mistero, dell’indagine poliziesca e del gotico. Ebbene, con Vita di un furfante, un romanzo breve – molto breve, se si pensa alla produzione più nota dell’autore – Collins ci fa compiere un viaggio letterario piuttosto diverso da quelli a cui è sempre stato più affine.

La narrazione, infatti, inizialmente appare quasi goliardica, possiede uno spirito frizzante e assai differente da quello che, ad esempio, caratterizza storie come La donna in bianco o La follia dei Monkton, nelle quali aleggia costante una cappa di mistero e ricerca. Il protagonista di Vita di un furfante, Frank Softly, è un giovinotto che cerca di destreggiarsi tra una professione e l’altra – molte delle quali hanno a che fare con l’arte – fino a quando non resterà, suo malgrado, invischiato all’interno di un’associazione criminale i cui traffici lo condurranno su strade ben poco consigliabili. Non contento, Collins, inserisce nella narrazione anche un’infelicità amorosa subìta dal nostro sventurato protagonista, anche a causa della sua trasformazione in provetto furfante. Basteranno la redenzione di Frank Softly e la penna di Wilkie Collins a favorire positivamente questo personaggio in costante bilico tra l’eroe e l’antieroe?

Prima di lasciarvi alla scoperta della risposta a questo quesito (che, ovviamente, troverete solo dopo aver letto il romanzo!), ci tenevo a sottolineare una simpatica connessione che mi è balzata agli occhi mentre leggevo Vita di un furfante. Nel capitolo V, infatti, l’autore fa cenno ai Vecchi Maestri, intesi come grandi artisti del passato che posso interessare papabili compratori di opere di valore; tra queste righe mi sono balzate alla vista due frasi, in particolare: Il cuore – ci crederete – mi balzò in petto. Avevo riconosciuto l’incantevole creatura che avevo seguito in istrada e Mentre facevo l’inchino, sentivo di trascolorare. Se nella prima frase si scorge un’eco dantesca (è impossibile non pensare al noto sonetto che celebra l’incontro tra Dante e Beatrice – Tanto gentile e tanto onesta pare), nella seconda il ricordo vola a Francesco Petrarca e alla sua Era ‘l giorno che al sol si scoloraro.

Insomma, due cammei di Vecchi Maestri inseriti nel contesto perfetto. E, conoscendo l’arguzia di Collins, credo proprio che tale collegamento non sia stato affatto casuale.