Una delle mie prime letture del 2019 è stata Anne di Tetti Verdi, romanzo di Lucy Maud Montgomery che ha – in definitiva – segnato il mio interesse per questa scrittrice e, in particolar modo, per questa saga letteraria. Se siete curiosi di sapere cosa mi ha trasmesso il primo romanzo della Saga di Anne, basta cliccare qui. L’opera di riscoperta, traduzione e valorizzazione dell’eroina nata dalla penna di Montgomery – a cura di Enrico de Luca e della casa editrice Lettere Animate – prosegue con il secondo volume della Saga, che porta il titolo di Anne di Avonlea.

Anne aveva lasciato i suoi lettori, al termine della sua prima avventura letteraria, con un interrogativo circa il futuro e una curva dall’orizzonte sconosciuto come unica risposta. Una sensazione, devo ammettere, che è facile indossare quasi ogni giorno. È stato più che automatico, per me, aprire questo nuovo viaggio con il quesito ben impresso nella mente; eppure, l’autrice ci farà aspettare non poco prima di svelarci cosa effettivamente si cela dietro la metaforica curva che attende la nostra Anne. Nel frattempo, ad ogni modo, la sua penna non lascia insoddisfatta la voglia dei lettori di capire come il personaggio di Anne Shirley sia mutato nel lasso di tempo trascorso. Anne di Avonlea è, difatti, un romanzo che incentra gran parte delle sue righe e – a mio avviso – delle sue intenzioni sulla tematica dell’educazionetopos già presente nel primo volume, sebbene con una connotazione differente. Se, infatti, in Anne di Tetti Verdi è proprio l’eroina ad entrare in contatto con le regole, la salvaguardia e la costruzione di un’iniziale capacità di discernimento del bene e del male, in Anne di Avonlea la studentessa diventa vera e propria maestra di vita; in tutti i sensi, dato che, proprio nelle prime pagine, ci viene reso manifesto il ruolo di educatrice che la signorina Shirley – insieme ad altri personaggi già conosciuti nel primo capitolo – ha assunto. Sono sempre dispiaciuta per i bambini che non hanno ricevuto un’educazione, dirà Anne nelle prime pagine. L’insegnamento, quindi, assume due differenti connotati nella mente dell’eroina: è sì un motivo di orgoglio personale e un way of life intimo e silenzioso, ma anche una vera e propria necessità, indispensabile a chiunque per poter confidare in un futuro che sia degno di essere definito tale.

Una delle tematiche che aveva ampiamente colorato Anne di Tetti Verdi era – senza dubbio – quella dell’immaginazione. Anne è l’eroina dell’immaginazione, la sua più fervente sostenitrice, colei che la nutre e la protegge sopra ogni altra cosa. Ebbene, anche in Anne di Avonlea non potevano mancare gli accenni (ironicamente definiti “accenni”) a questa evasiva pratica umana; già dalle prime pagine, infatti, possiamo leggere: posso essere indulgente con voi, […] perché ho un’immaginazione. Eppure, oltre all’immaginazione puerile e individuale, in questo secondo volume sorgono in Anne il desiderio e la concretizzazione di un’immaginazione collettiva, di una sorta di potenza superiore – governata dalla Fantasia e della speranza – in grado di unire gli spiriti affini verso nobili cause comuni. Ecco che l’immaginazione strizza l’occhio all’idealismo, concretizzandosi nell’Associazione di Miglioramento di cui Anne Shirley e altri amici entreranno a far parte, con l’intento di porre le basi per una sorta di Avonlea ideale (una sorta di Utopia di Thomas Moore, insomma). L’Avonlea immaginifica e fanciullesca – quasi magica – a cui Anne regalava nomi di fantasia può, ora, diventare concretezza con la maturazione dei caratteri, delle aspirazione e delle età? Questo è uno dei quesiti che Lucy Maud Montgomery sembra sottoporci, chiedendoci di traslare tutto questo nella nostra vita reale.

Un altro aspetto che l’autrice sottolinea, sempre nell’ottica della maturazione della sua eroina, è quello degli indispensabili compromessi con la vita. Tutti noi sappiamo perfettamente che cosa significhino, ma non è scontato che il personaggio di un romanzo abbia la nostra stessa consapevolezza. Ecco, dunque, che l’autrice fa comprendere ad Anne una delle prime lezioni del mondo degli adulti, ossia la rassegnazione (che è, per sua natura, un enorme compromesso): Anne era molto stanca e incline a credere che non avrebbe mai imparato ad amare l’insegnamento. E come sarebbe stato terribile fare qualcosa che non le piaceva tutti i giorni per… beh, diciamo quarant’anni. Anne era indecisa se piangere seduta stante o aspettare finché non fosse al sicuro a casa nella sua stanza bianca […] Hai mai notato che quando le persone dicono che è loro dovere dirti una certa cosa devi prepararti a qualcosa di sgradevole? Perché sembra che non pensino mai sia un dovere dirti le cose piacevoli che hanno sentito di te?
Anne Shirley, naturalmente, muterà le proprie idee sulla sua professione nel corso del romanzo, arrivando ad amare con sincerità le ore trascorse tra le mura della scuola. Forse, una delle cose che Anne di Avonlea intende insegnarci è proprio che dalla rassegnazione si può ripartire con maggiore consapevolezza, dando nuova luce ai nostri sentieri. Insegnando ai bambini a crescere nella maniera corretta, inoltre, la stessa Anne crescerà sempre un po’ di più

Come per il lavoro e le relazioni interpersonali, anche la morte (tematica affrontata con una forza emotiva incredibile nel capitolo precedente della Saga) viene riaffrontata in diversi momenti di questo romanzo, ma con una maturità differente, bene in linea col percorso di sviluppo e crescita del personaggio di Anne. E, sempre su questo filone, viene presentato e approfondito il prezioso connubio onestà-trasparenza, riferito alla concreta necessità del suo esistere nella quotidianità e nelle situazioni in cui è richiesta (oppure no) la manifestazione di un’opinione personale o di un parere: sono così contenta che tu abbia detto questo pensiero, invece che pensarlo soltanto e tenerlo per te. Questo mondo sarebbe un posto molto più interessante – anche se è molto interessante in ogni caso – se le persone esprimessero i loro veri pensieri. Ciò che pensiamo, le nostre attitudini, la visione del mondo con la quale osserviamo e giudichiamo ci definisce, ci rende liberi, ci consente di avere delle opinioni. Bisogna assumersi la responsabilità e l’orgoglio di quanto si pensa e si esprime (naturalmente se tali opinioni derivano da una maturazione di idee degna di essere definita tale!). Ci sono poche cose preziose quanto le nostre opinioni. Anne Shirley, questo, lo ha imparato; ed è un insegnamento, a mio parere, fondamentale. Dovremmo ricordarcelo più spesso anche noi tutti: dobbiamo avere ideali e cercare di esserne all’altezza, anche se non riusciremo mai del tutto. La vita sarebbe un triste affare senza di essi.

Com’era accaduto anche nel primo volume della Saga, anche in Anne di Avonlea, l’autrice ci regala momenti di pura godibilità letteraria. A metà di questo romanzo, ad esempio, troviamo un frammento che vale la lettura di tutto il romanzo:
«Guardate, vedete quella poesia?», disse improvvisamente, indicando con il dito. […] «Lì, giù, nel torrente… quel vecchio tronco verde e muscoso son l’acqua che vi scorre sopra in quelle dolci increspature che sembrano come se fossero state pettinate, e quel singolo raggio di sole che vi cade obliquamente, fin giù in fondo alla pozza. Oh, è la poesia più bella che abbia mai visto.»
«Io piuttosto lo chiamerei un dipinto. […] Una poesia è versi e rime.»
«Oh, per carità, no […] I versi e le rime sono gli indumenti esterni della poesia e non sono davvero lei più di quanto i tuoi merletti e le tue balze sono te. La vera poesia è l’anima al loro interno… e quel bell’angolo è l’anima di una poesia non scritta. Non è cosa di tutti i giorni vedere un’anima… neanche quella di una poesia».
Non credo sia necessario aggiungere altro.

Altra importante tematica suggerita dall’autrice alla sua eroina è senza dubbio quella della distinzione tra realtà e finzione romanzesca (persona reale VS eroina letteraria); in tal senso, il personaggio della signora Morgan dell’Isola (un’anticipazione di Anne Of The Island?) – autrice di romanzi all’interno della Saga di Anne – svolge la propria funzione pedagogica sulla nostra eroina tramite i suoi personaggi (alcuni provenienti dal pluri-citato Il giardino dei boccioli di rosa). Anne comprenderà a sue spese, dopo una giornata di indicibili fatiche, che se le protagoniste dei libri possono apparire perfette e le loro vicissitudini trovano (quasi) sempre un risvolto luminoso, la vita concreta possiede degli spigoli di difficile previsione.

Uno dei personaggi più interessanti introdotti in questo secondo capitolo resta senza dubbio alcuno la signorina Lavendar. Fascinosa, eclettica, romantica e indimenticabile, la signorina Lavendar ha una storia che non può non generare empatia in chiunque vi si avvicini. Non svelerò troppo perché credo sinceramente che i capitoli a lei dedicati siano tra i più belli di Anne di Avonlea, ma ci tengo a riportare quella che credo sia una vera “lezione di vita” che la donna dona alla giovane Anne, nel capitolo XXIII: Anne, un cuore spezzato nella vita reale non è orribile neanche la metà di com’è nei libri. È molto simile a un dente dolorante… anche se non troverete che questa sia una similitudine molto romantica. Vi porta fitte di dolore e vi procura una notte insonne di tanto in tanto, ma negli intervalli vi permette di godervi la vita e i sogni e gli echi e le arachidi caramellate come se non ci fosse alcun problema. […] Questo è il peggio – o il meglio – della vita reale, Anne. Non vi permetterà di essere infelice. Continuerà a farvi stare a vostro agio… e ci riesce… anche quando siete determinata a essere infelice e romantica.

In ultimo, arriviamo alla curva, il luogo dove Anne ci aveva salutati e dove ci fa tornare – dopo un nuovo percorso di maturazione e identità: quella sera Anne ebbe una lunga riflessione alla finestra. Gioia e dispiacere lottarono insieme nel suo cuore. Alla fine era giunta – improvvisamente e inaspettatamente – alla curva sulla strada; e il college era oltre, con cento speranze e visioni d’arcobaleno. […] Ho fatto crescere molte piccole radici in questi due anni e quando mi tirerò su mi faranno tanto male. Ma è meglio andare, credo, e, come dice Marilla, non c’è alcuna buona ragione perché io non debba farlo. Devo tirare fuori tutte le mie ambizioni e spolverarle. Ecco, infine, dove ci conduce Anne Shirley: ci pone di fronte alla crescita e al disincanto, alla necessità della separazione, al primo grande bivio, alla commovente realizzazione che la vita è fatta di tasselli e che – per ovvie ragioni – non ci è possibile accedere al tassello successivo portandoci appresso tutto quello che possedevamo nel tassello precedente.

Credo che Anne di Avonlea possa tranquillamente vestire i panni del romanzo della crescita. Anne Shirley ci congeda, questa volta, con una maturità ancor più tangibile e con un futuro tutto da scoprire. Di prossima pubblicazione, sempre per conto di Lettere Animate e grazie al lavoro di Enrico de Luca, Cronache di Avonlea, che uscirà nei prossimi mesi, fornendo sempre più dettagli sullo spaccato di vita di questa eroina anticonformista e irresistibile.